Bellocchio ricostruisce la figura di Edgardo Mortara, il bambino ebreo il cui rapimento da parte del Vaticano nel 1858 divenne un caso internazionale. In concorso a Cannes e da giovedì 25 maggio al cinema.
di Paola Casella
Marco Bellocchio sceglie una storia che aveva già attratto l'interesse di Steven Spielberg e la realizza con una comprensione profonda del momento storico in cui si è svolta l'azione e della complessità dei rapporti fra Stato e Chiesa.
La fonte letteraria è “Il caso Mortara” di Daniele Scalise, cui si ispira la sceneggiatura di Bellocchio e Susanna Nicchiarelli, e la perfetta ricostruzione di quel tempo (lo scenografo è Andrea Castorina) è ricca di dettagli che ci calano in quel mondo controllato da un potere temporale ubiquito. E l’antisemitismo della Chiesa si manifesta con virulenza, tanto che il Papa arriverà a minacciare il capo della comunità romana di “costringere gli ebrei a tornare nel loro buco”, risigillando la porta del ghetto.
Rapito è un horror ammantato di carità cristiana, un “miserere nobis” che cancella ogni colpa con una formula assolutoria.