L'attrice compone un assolo da ricordare, incarnando una figura placida che naviga a vista tra pezzi di vite ordinarie e impossibili da raccordare. Dal 2 giugno al cinema.
di Marzia Gandolfi
Sotto le apparenze del thriller convenzionale, La doppia vita di Madeleine Collins esplora un’identità doppia fino al punto di rottura. Ma questa volta non si tratta di gestire un’esistenza domestica e un’altra clandestina, il film di Antoine Barraud pratica nel genere un sottogenere più incline alla follia, quello in cui i protagonisti coniugano alla luce del sole due famiglie e due identità pubbliche appoggiate sulle sabbie mobili e i pretesti professionali. Ma mentire non è cosa da poco e la traiettoria dell’eroina, in movimento permanente, tradisce progressivamente il suo squilibrio. La vernice si crepa e l’angoscia risale la superficie, la libertà permessa dall’identità plurale diventa una trappola.
Sofisticato e discreto, il film di Barraud articola il suo soggetto interrogando con l’identità di una donna i mostri interiori. Questo personaggio che perde il controllo sulle sue identità rimanda a un’attrice che perde il controllo dei suoi ruoli. Virginie Efira compone un assolo perturbante, incarnando una figura placida che naviga a vista tra pezzi di vite ordinarie e impossibili da raccordare.