Titolo internazionale | The End of the World |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Svizzera |
Durata | 107 minuti |
Regia di | Basil da Cunha |
Attori | Lara Cristina Cardoso, Marco Joel Fernandes, Alexandre Da Costa Fonseca, Michel David Pires Spencer . |
MYmonetro | 2,91 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 22 agosto 2019
Spira torna a casa da un centro di detenzione minorile e si ricongiunge con i suoi cari a Reboleira (Lisbona). Ma non è per tutti il benvenuto.
CONSIGLIATO SÌ
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Spira, ormai diciottenne, torna a Reboleira dopo otto anni di riformatorio e trova un quartiere in via di demolizione. Ritrova gli amici di un tempo - Giovani e Chandi - ma anche antiche ruggini, come quella con Kikas, spacciatore locale e tifoso patologico del Benfica.
Aperta da un battesimo e chiusa da un funerale, la storia raccontata da Basil Da Cunha aderisce a una lunga tradizione di allegorie noir. Eros, Thanatos e tutto quel che c'è in mezzo, in un microcosmo di indigenza, tale da non lasciare altra via per il riscatto sociale che quella della strada.
Spira ritorna in questo universo, ma adattarsi di nuovo ai suoi valori risulta complicato. Un percorso classico del cinema di genere: il reprobo che torna, accenna una redenzione ma ripiomba nel gorgo; intanto nasce l'amore, ma forse non può nulla contro l'oppressione della situazione di Reboleira.
A tipizzare O fim do mundo, in una sceneggiatura che più canonica non si può, è la presenza di Michael Spencer, taciturno baby gangster dalle fattezze di un giovane Harry Belafonte, che si aggira per Reboleira come un fantasma. La storia tra lui e Iara, giovanissima e già madre, ha il sapore - incrementato dai contrasti tra le rispettive famiglie - di un Montecchi-Capuleti dei sobborghi, reso credibile dai volti dall'impatto cinematografico dei due ragazzi.
Autentica protagonista è ancora una volta (The Last Black Man in San Francisco, Cat in the Wall, stando solo a film del 2019 transitati da Locarno Film Festival) la gentrification, che qui consiste nella demolizione del quartiere di Reboleira, nella periferia di una Lisbona sempre più tendente alla globalizzazione.
Le scene iconiche non mancano - il funerale conclusivo, la celebrazione notturna del lutto, folle e disperata - e Basil Da Cunha, regista al secondo lavoro, dimostra la sua capacità di lavorare con attori non professionisti rendendo credibile il tutto, in una costante penombra assai suggestiva.
Difficilmente un cinefilo rimarrà sorpreso da qualche sviluppo della vicenda, che mescola archetipi antichi del noir in un impianto di delinquenza giovanile figlio di City of God, ma la riflessione che scaturisce da O fim do mundo è molto contemporanea e riguarda ogni periferia depressa, nella inquietudine di questi anni Dieci.
Con il suo secondo lungometraggio O fim do Mundo, presentato nel Concorso Internazionale, il regista svizzero Basil Da Cunha torna a girare nello slum portoghese di Reboleira, proseguendo l'esplorazione girovaga e ibrida di un cinema che spazia dal noir al documentario, attraverso il racconto notturno di un mondo sommerso, all'alba della sua scomparsa.