Premetto due cose: 1) mi aspetto, almeno, una candidatura all'Oscar come miglior attore e per la fotografia. 2) Non riesco a restare nel detto-non-detto questa volta. Se non l'hai visto fermati qui. Non ti risentire se spoilero, ti ho avvisato!
C'è sempre stata una domanda che mi frulla nella testa su tutti gli anti-eroi, siano essi inventati o reali - a modo suo mi è venuta anche per l'ultimo film di Quentin con la rivisitazione di Manson- costruiti o naturali: Quanto nell'output finale - il personaggio fatto e compiuto - risulti decisiva l'inclinazione del soggetto (anche con pieghe patologiche) o il contesto sociale in cui esso è invischiato?
Tale domanda non si presta a dogmi o leggi universali, bensì a risposte specifiche ed aderenti. Questo quesito diventerà il mio "filo rosso" per affrontare l'analisi del Film.
Chi è QUESTO Joker? È il lento, costante ed irrevocabile risultato di un percorso umano di un soggetto volto a scoprirsi VIVO.
Tenete bene a mente questa frasetta lapidaria, avrò modo di giustificarla andando avanti. (nella mia PERSONALISSIMA visione!)
Il film si apre col ritratto di un uomo che vive per due cose: la madre e cercar di far ridere.
Una lesione celebrale lega la sua risata all'eruzione di ben altri sentimenti provati.
Nel progredire del film assistiamo ad una vera e propria parabola che vede raggiungere il suo apice col flirt della sua dirimpettaia.
Ciò che sposta gli equilibri è questo continuo "braccio di ferro" con la vita che lo vede soccombere ad ogni giro, causato sia da tranelli (la pistola "regalata e la bufala della vendita) sia da una sua ontologica incapacità di realizzare le sue aspirazioni (c'è anche il contesto onirico col plot dello show o dello suo show da cabarettista nel locale).
È un lento crollare di "muri portanti del suo io".
Il primo tracollo lo abbiamo con la scoperta della verità sulle vicende narrate dalla madre.
La sua unica certezza nel caos.
Questo lo porta ad agire con sprezzante pathos davanti alla casa dei Wayne... Scopre, poi, la verità. Una bomba interiore!
Questo trauma inizia a rimuovere tutti i suoi freni inibitori in questa costante scoperta di sé. (interessante anche la mancanza di rimorso per i fatti della metro, fatti che daranno il via ai moti contro il sistema).
Inizia a capire di entrarci sempre meno con questo mondo. Monumentale la scena del frigo. Quella porta che si chiude alle regole sociali e che ci consegna solo lui.
Adesso il suo scopo muta: rimuovere i legami e regolare i conti.
Le uccisioni conclamate (madre ed ex collega) o presunte (dirimpettaia) ci consegnano Joker nella sua piena evoluzione.
Cosa fare?
Arriva la proiezione del (non riesco a seguire il filo cronologico del film, sviluppo i passaggi) suo spettacolo allo show che lui aveva alzato a traguardo. Un luogo che riteneva puro e privo del marcio quotidiano. Il suicidio - ripredere la frase coi servizi sociali - sembra la degna chiusura al tutto.
Succede che nel dialogo con Marvin egli compie l'ultimo passo: Arthur esce di scena e diventa Joker. Nel testare le diverse reazioni ("fossi rimasto ucciso io mi avreste camminato sopra"), egli non solo lascia trasalire la rabbia, ancor più importante: si rende conto che ora, con questa nuova condotta, viene notato. Le sue azioni non sono anonime. Ora si sente vivo e presente.
Nasce così la scelta di uccidere l'ultimo grande "inganno" e contemplare i "frutti" delle sue azioni ed esternazioni.
Adesso, poi, ha un pubblico che lo segue, lo venera e lo issa a punto di riferimento nel suo "grande show".
Ci sarebbe anche il tema delle uccisioni da toccare. Le prime tre (metro) sono reazionarie istintive, le altre tre sono - come detto - per recidere dei legami, l'ultima è per l'affermazione di sé.
Un film che, a modo suo, ha rispettato le mie alte aspettative. Non era facile mettere un film del genere considerando gli stili diversi di De Niro e Phoenix e la nascosta (ma presente!) competizione di Ledger.
That's Life!
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