1917

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Amicizia e trincee La Grande Guerra di due ragazzi

di Natalia Aspesi La Repubblica

Un suono monocorde che genera inquietudine e paura, un luogo incolore e sconfinato che trasmette solitudine e pericolo, due ragazzi in divisa, dal viso puro quasi adolescente, che corrono ansimando su questa landa grigia come è grigio il cielo, un paesaggio che pare un incubo, di voragini e fango, di cadaveri umani e di carcasse animali, di alberi ancora fioriti ma sradicati, di povere case di pietra, di misere chiesine distrutte: pare quasi di sentire l' odore putrido della morte e di oltrepassare i confini della vita. Così da subito 1917 (tutto girato in Inghilterra), con le immagini e il sonoro ci rinchiude in una delle tante storie desolate di guerra, della Prima Guerra Mondiale sul fronte occidentale, nei territori francesi attorno al fiume Somme durante l'Operazione Alberico durata mesi, con cui i tedeschi si ritirarono dal primo fronte, la linea Hindenburg, per migliorare la loro difesa. Sam Mendes inserisce in quei giorni la storia dei caporali Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman) dell'esercito britannico, che hanno solo otto ore per salvare 1600 commilitoni che stanno per cadere in una trappola mortale, la finta ritirata dei tedeschi. Episodio non vero ma necessario a raccontare di una missione suicida di cui Schofield farebbe volentieri a meno ma non Blake, che tra i militari del secondo battaglione del Reggimento Devonshire ha suo fratello. Li ha scelti Colin Firth (generale Erinmore) acquattato in un bunker assieme agli altri ufficiali, mentre i soldati, a migliaia, aspettano sperduti nelle strette, alte trincee all'aperto, ed è uno dei momenti più agghiaccianti che ci viene raccontato di quella guerra, la sequenza interminabile delle fragili fosse lunghe chilometri da cui migliaia di giovani uomini, terrorizzati o esaltati, aspettano di uscire per ammazzare ed essere ammazzati da un ignoto nemico. Sam Mendes (Oscar per American Beauty , due James Bond di massimo successo, e nella sua lunga carriera teatrale la messa in scena a Londra e adesso a New York di The Lehman trilogy di Stefano Massini) ha raccontato come siano stati i ricordi di guerra di suo nonno Alfie, al fronte a 19 anni e decorato per aver salvato soldati dispersi del suo battaglione che ne aveva perduti la metà in una zona abbandonata del Belgio, a ispirargli questa storia di fantasia, inserita nella verità di un conflitto che in 4 anni e 4 mesi causò 37 milioni di vittime (italiani 2.197.000) tra i due schieramenti. Lungo la minacciosa terra di nessuno i due ragazzi entrano nelle trincee nemiche abbandonate, ne invidiano le comodità (addirittura i letti col materasso!), inorridiscono per i topi giganti che le abitano, riescono a sfuggire alle trappole esplosive preparate dai tedeschi. Avanzano nel vuoto dove ogni secondo può essere sofferenza e fine, affidandosi ai ricordi belli o brutti di quella che era la vita a casa, al senso di amicizia e di reciproco sostegno, al coraggio che non hanno ma che si impongono come unica salvezza. Il tempo passa, la meta è invisibile, il pericolo li sfianca: a un certo punto la realtà pare diventare immaginazione quando solo attraversando un rudere, dalla tragedia si passa alla speranza, dall' abbandono a un gruppo di altri soldati inglesi che si dirigono proprio verso la postazione cui si deve consegnare il messaggio di salvezza. Da qui, con un apparente piano sequenza continuo, pare di entrare in un videogame, con il messaggero che tra le rovine, nel buio sbaragliato dalla luce degli incendi, nel silenzio squarciato dalle esplosioni, corre e corre intoccato, come se il dovere della missione, o l'ansia degli spettatori, gli impedisse di morire. Benedict Cumberbatch (colonnello Mackenzie) come tutti i comandanti di tutti film di tutte le guerre, ma anche talvolta della realtà, non vuole ascoltarlo, l'assalto mortale è già cominciato, la trappola sta per scattare: ma quel ragazzotto qualsiasi, un autentico nessuno, costretto ad essere eroe, non molla, il suo messaggio riesce a consegnarlo, a farlo leggere. Pare una cine tradizione irrinunciabile che tra le truppe sospese nel tempo che precede il massacro, a un certo punto si levi un canto di pace, di nostalgia, d' amore: in 1917 , accucciati in un bosco prima dell' attacco, risuona la voce appassionata di uno di loro che canta Wayfaring stranger di Johnny Cash; nella scena finale di Orizzonti di gloria (Kubrick 1959), una fragile ragazza tedesca in lacrime canta Der treue Husar (l' ussaro fedele) davanti una folla di militari francesi che dallo sghignazzo passano alla commozione; in Torneranno i prati (di Ermanno Olmi, 2014, uno dei suoi film più belli, in bianco e nero), nella trincea trentina del 1917, una ragazzo napoletano canta Fenesta ca lucive e pure i nemici austriaci, nella trincea non lontana, piangono. Chi conosce la storia di quella guerra, sa che un episodio come questo, in quei mesi, non poteva accadere, non solo perché la ritirata durò più di un mese, non un giorno solo, ma anche perché le possibilità di comunicare in modo più veloce esistevano. Ma che importa la verità episodica se la finzione trasmette una forte emozione, il senso di orrore, del fango, del degrado, della brutalità, del vivere oppressi da ogni disagio e fatica, senza riferimenti, senza sapere che fare e perché, quasi sempre fermi, con ridicole, brevi, inutili avanzate pagate coi morti. In qualche modo il film costringe a conoscere il passato, e a non rifiutare il buio del presente che pare lontanissimo e non lo è: e che capita non tutte le sere di vedere per un paio di secondi ai telegiornali, con immagini stanche e smemorate. Oggi sono in corso 378 conflitti, guerre vere e proprie, guerre civili, guerre religiose, etniche, per il petrolio: che stanno distruggendo Afghanistan e Siria, Libia e i confini dell'Ucraina e causando 250 milioni di migranti e 70 milioni di rifugiati. 1917 ha vinto due Golden Globe, miglior film drammatico e miglior regista e ha 10 nomination agli Oscar: miglior film, regia, sceneggiatura, fotografia, scenografia, colonna sonora, mixaggio sonoro, montaggio sonoro, effetti speciali, trucco.
Da La Repubblica, 21 gennaio 2020


di Natalia Aspesi, 21 gennaio 2020

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