Il film di Wadlow svela i limiti di una relazione, anche tra coloro che pensano di non aver niente da nascondersi.
di Marco Castelli, vincitore del Premio Scrivere di Cinema
Un gruppo di universitari al loro ultimo spring break sembrerebbe aver poco a che vedere con le leggende demoniache messicane, ma in questo horror adolescenziale (evidentemente pensato per le coppie di ragazzi al loro primo appuntamento al cinema) tanto i dissidi amorosi quanto i misteri nascosti nelle missioni religiose si uniscono all'insegna dell'ansia e del terrore, mettendo a dura prova anche le amicizie che sono più durature e che appaiono come più forti.
È il tema della verità, di quanto possa essere dolorosa e pericolosa, che segna il ritmo della produzione.
In un'epoca in cui i social network vengono considerati e vissuti come punti di riferimento imprescindibili e si è sviluppata la cultura del "reality" sembra che il tema della verità e dello svelamento sia diventato quasi secondario, sommerso davanti a un'immediatezza e disarticolazione espressiva che vorrebbe ridurre al minimo la membrana che divide l'azione, qualsiasi azione, anche la più privata, dalla sua percezione sociale. Non è però così, come viene messo tragicamente in evidenza dalle separazioni ed i dolori che seguono ad ogni sfida "verità" del gruppo di amici, costretti a riconoscere i loro più nascosti ricordi e velati desideri.
Una verità che, oltre che nei rapporti personali, assume contorni sfumati anche nel semplice quadro della vita quotidiana, nella quale si incastonano le tante piccole menzogne socialmente accettate ma che non lasciano scampo al ferreo scrutinio letale del gioco al quale i protagonisti sono costretti a partecipare (e nel quale spesso spesso anche gli "obblighi" di riducono a confessioni).