Le sceneggiature di Sorkin impongono un'attenzione cinematografica di tipo differente: non tanto visiva, quanto uditiva. Al cinema.
di Leonardo Strano, vincitore del Premio Scrivere di Cinema
In linguistica, l'ipotesi di Sapir-Whorf afferma che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla: in parole povere che la visione del mondo del soggetto è modificata dal linguaggio con cui il soggetto comunica. È una teoria affascinante, tematizzata anche al cinema (basti pensare ad Arrival). Più raro assistere, da spettatori, a un procedimento inverso in cui non è tanto il parlare a modificare la visione ma l'ascoltare, come succede quando si è trasportati nelle suggestioni dei film in cui opera Aaron Sorkin, pifferaio magico e agile paroliere capace di condizionare l'esperienza cinematica attraverso l'uso delle parole.
Le sceneggiature di Sorkin magari non hanno il potere di cambiare le opinioni altrui, ma di certo impongono un'attenzione cinematografica di tipo differente: non tanto visiva, quanto uditiva, capace di spostare il cervello dello spettatore dagli occhi alle orecchie e di illuminare sotto una luce nuova alcuni eventi della storia americana contemporanea.
Il linguaggio di Sorkin non è quello di un sofista deciso a nascondere sotto le parole contenuti ambigui o assenza di contenuti: la sua è una linguistica esplosiva e spettacolare, una continua iniezione intellettuale che sovrappone le conoscenze enciclopediche a un umorismo brillante, lunghe metafore acrobatiche a deduzioni sintetiche, sviluppandosi attorno a un messaggio preciso o a un'idea particolare.
Nei suoi ultimi lavori (The Social Network, L'arte di vincere, Steve Jobs) quest'idea è sempre stata circoscritta nel perimetro delle tematiche del Sogno Americano, dell'azione del individuo nel mondo e del capitalismo nella società americana ed è sempre stata affrontata attraverso il suo particolare stile autoriale. La parola però è sempre protagonista, presenza persistente che racconta, informa, spiega, sintetizza, dimostra. In Molly's Game (guarda la video recensione), esordio di Sorkin come regista, la continuità tematica con le opere precedenti è evidente, ma il discorso tecnico riguardante la parola e l'ascolto si amplifica e non interessa più solo la parte "scritta" del prodotto.