Il nuovo film di Yvan Attal 'prende la parola' e conferma la salute del cinema medio francese. Ora al cinema.
di Marzia Gandolfi
Dal suo prologo, Quasi nemici dona il tono: immagini di archivio scorrono le riflessioni di Romain Gary, Claude Lévi-Strauss, Serge Gainsbourg e Jacques Brel, rappresentati nobili della lingua francese. Maestri nel saper scegliere, ciascuno nel suo dominio di competenza, le parole giuste, quelle che emozionano, quelle che persuadono, quelle che marcano. Senza essere passatista, Yvan Attal impiega le mille e una nuance della lingua francese e realizza una commedia che prende la parola. In Quasi nemici l'azione nasce dal verbo e le scintille dall'incontro tra Neïla Salah e Pierre Mazard, che incarnano la coppia allieva-professore. Lei è una giovane banlieusarde di origine magrebina, cresciuta a Créteil e iscritta all'università d'Assas, ubicata in un prestigioso arrondissement di Parigi (il Cinquième), lui professore emerito e reazionario poco incline al politicamente corretto e al clima di rettitudine che domina il suo ambiente. Lei ha la verve dei suoi anni verdi, lui la retorica classista della vecchia Francia.
La commedia feel-good di Attal riposa su un antagonismo degno delle commedie classiche, perché tutto oppone Neïla Salah e Pierre Mazard.
Il loro primo e disastroso incontro avviene in ateneo e nel bel mezzo di una lezione di Diritto a cui la ragazza arriva in ritardo, trovandosi così umiliata pubblicamente dal professore, poi denunciato sui social network dagli studenti. È una scena forte che testimonia la fragilità degli scambi tra individui oggi, dove un clic cagiona un linciaggio morale. Per far fronte al consiglio di disciplina e riscattare le sue provocazioni, Pierre Mazard accetta di preparare Neïla per un prestigioso concorso di eloquenza che si tiene ogni anno tra le università di Parigi.
Quasi nemici, o come un uomo divenuto cinico nei confronti di un mondo che non gli piace più si traveste da Pigmalione prima di ritrovare un volto più umano, è la dimostrazione che parlare bene aiuta a intendersi meglio. A partire da questo assunto, l'autore di Mia moglie è un'attrice filma la traiettoria della sua eroina che scopre "L'arte di ottenere ragione" di Schopenhauer, l'arte dell'eloquenza e della dialettica grazie ai metodi efficaci di un mentore tanto odioso quanto persuasivo, tirannico quanto benevolo.
Razzismo, pregiudizio, cliché sono soggetti sensibili che nascondono diverse insidie ma spesso la maniera migliore di sfidarli non è quella di negarli ma piuttosto di guardarli in faccia. L'arte di Attal consiste nel trovare la giusta misura con intelligenza e umanità. La stessa applicata dai suoi protagonisti, la cui interazione solleva una riflessione sulla tolleranza.
Apprendere l'uno dall'altra, arricchirsi nelle differenze, fare della propria storia una forza, incanalare la propria collera e il proprio odio, appropriarsi delle parole per difendersi sono alcuni dei principi umani veicolati con levità dal film che insieme alle lezioni di Bertrand Périer (A voce alta - La forza della parola) riporta al centro dell'attenzione l'oralità e la trasmissione dell'oralità. Con Neïla, lo spettatore accede alla 'corte' della retorica e dell'eccellenza, trovando le parole per emanciparsi, affrancarsi dai determinismi sociali e rifiutare l'alienazione. Per nutrire e liberare la propria parola. Il tono del film resta tuttavia leggero, flirtando tra commedia e dramma e rimanendo sincero su entrambi i fronti.
Dopo aver provato a disegnare un quadro esaustivo dei volti dell'antisemitismo in Francia (Sono dappertutto), Yvan Attal realizza una commedia contro i pregiudizi e a favore dell'integrazione, che coniuga tre elementi motore: la storia di un pigmalione e della sua protetta, quella di un successo che smentisce il determinismo sociale e la capitolazione del pregiudizio davanti a un incontro illuminante. I temi non sono originali ma il film funziona a meraviglia, soprattutto per l'energia debordante dei suoi attori, Camélia Jordana e Daniel Auteuil, brillanti e contagiosi nelle reciproche provocazioni e nei mutuali scambi. E alla maniera dei loro personaggi, l'idealismo dell'allieva ravviva la fiamma del maestro. Il maggiore porta la sua esperienza e la sua ricca palette di sfumature, la cadetta, e quasi neofita sullo schermo, il suo impegno e il suo carattere totale.
Quasi nemici conferma poi un aspetto peculiare del cinema francese che non troviamo in altre cinematografie, la doppia urgenza di essere popolare ed esigente. È un cinema che valorizza i dialoghi, lo humour, gli attori, senza dimenticare la fotografia o la messa in scena.
È un cinema, per parafrasare François Morel (attore e cronista radiofonico francese), intelligente senza essere pesante, leggero senza essere superficiale, profondo senza essere greve, elargendo il sogno, il riso, il sorriso, la consolazione. Quasi nemici è il buon cinema medio che partecipa al ritorno di popolarità dell'arte oratoria, delle parole che in tribunale, in metro, nelle aule dell'università, al bistrot si inseguono vertiginosamente, inanellano aneddoti, esplodono a ridere, restano sospese, prendono respiro, fanno una pirouette e ricominciano. Andate al cinema a provare questa esperienza unica di eccitazione e piacere, Yvan Attal vi dà la sua parola.