cla.cos
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sabato 11 giugno 2016
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un film intimista, che fa piangere perché sincero
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Non saprei come definire questo film se non intimo, sincero, spudoratamente vero. Un velo alzato su una realtà dimenicata, con un gusto cinematografico raffinato e mai banale. Una vittoria di colori e forme contro una trama semplice, forse troppo.
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mauridal
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giovedì 9 giugno 2016
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un sorriso bipolare
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(Un sorriso bipolare, commento di mauridal).
Quando il cinema si è occupato della follia , e ha voluto raccontare storie di folli , di malati mentali o di disagio psichico ,allora per forza di cose la sensibilità del regista , la sua abilità nell'affrontare il tema, su una delle malattie più difficili e tante volte drammatiche per tutta la società, deve prevalere sul film .
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(Un sorriso bipolare, commento di mauridal).
Quando il cinema si è occupato della follia , e ha voluto raccontare storie di folli , di malati mentali o di disagio psichico ,allora per forza di cose la sensibilità del regista , la sua abilità nell'affrontare il tema, su una delle malattie più difficili e tante volte drammatiche per tutta la società, deve prevalere sul film .Sappiamo che un film esiste, ovvero è considerato spettacolo , in quanto opera godibile per un pubblico, spesso distratto , oppure a volte attratto dal cinema solo per allontanarsi dalla realtà , ma appena il tema che il film racconta si accosta ad una speciale verità, ovvero affronta problemi o diventa serio, allora è di grande importanza,la figura dell’autore e chi realizza il film. Dunque sceneggiatura e regia sono di fondamentale importanza per una opera di cinematografia che voglia aspirare ad essere ben ricordata e accettata da un pubblico attento e benevolente. Quando il regista è anche il co-autore della storia ( Francesca Archibugi è, l’altra sceneggiatrice,) come nel film La pazza gioia di Virzì ,allora possiamo indugiare per approfondire la motivazione del film e quindi la resa o la presa sul pubblico. Indubbiamente il tema è delicato e la follia al femminile poteva avere molte versioni ,la scelta di Virzì è stata originale , ovvero senza alcun riferimento al genere “follia a cinema” quindi niente Shining, niente Matti da slegare, niente Voli su nidi di cuculo , e in questo, una scelta coraggiosa nel personificare la delicata follia di Beatrice e la follia più disperata di Donatella, in una sintesi di follia femminile che potremmo dire bipolare dove c’è sia esaltazione con divertimento e gioia, come pure una tragica e maniacale rincorsa al baratro e alla distruzione. Questi aspetti sono stati abilmente sdoppiati nei due personaggi ben interpretati dalla Valeria Bruni Tedeschi e da Micaela Ramazzotti. Il personaggio di Beatrice è reso efficacemente in tutte le difficili sfumature di follia con quel pizzico di ironia che l’autore ha voluto rimarcare, rendendo complementare l’altro personaggio, laddove per chiarezza , le due protagoniste sono integrate in una unica narrazione della follia. Tuttavia Beatrice ha una forza in più , la sua è una follia coinvolgente, e in qualche modo inarrestabile, come i suoi discorsi e le sue finzioni , anche divertenti nella fragile sconclusione che portano con sé. Il tema è terribilmente tragico come attuale, troppi esempi di follie ,riempiono le cronache quotidiane, spesso tragedie al maschile con vittime al femminile. In questo racconto la visione al femminile delle follie è portata più verso le pazzerelle giocose che non altro, ma forse è il limite di questo buon film, che a parte la rimarcata ambientazione tosco -grossetana e viareggina , care al regista , funziona meglio con la coppia di brave attrici , la cui recitazione è davvero eccellente.( mauridal)
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gaecup
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giovedì 9 giugno 2016
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una dirompente idea di libertà
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Ma poi...Cos'è la pazzia? Osservando questo straordinario concentrato di umanita messo in scena da Virzì la domanda affiora inevitabile, travolge qualsiasi preconcetto. Si perché il film porta anche noi spettatori all'interno della struttura di ricovero e poi accanto a Beatrice e Donatella durante la loro "fuga" , mostrandoci il mondo dalla stessa, liberatoria angolazione da cui le vedono le due protagoniste, due identità così lontane eppure così vicine, così fragili eppure così forti. E allora ci può sembrare normale anche mangiare un un ristorante di lusso senza pagare, oppure rubare un auto, rischiare tutto per rivedere un figlio...si, ci sembra normale perché le due agiscono senza filtri, senza se e senza ma, vanno diritte al cuore, e allora uno si domanda se è questa la pazzia.
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Ma poi...Cos'è la pazzia? Osservando questo straordinario concentrato di umanita messo in scena da Virzì la domanda affiora inevitabile, travolge qualsiasi preconcetto. Si perché il film porta anche noi spettatori all'interno della struttura di ricovero e poi accanto a Beatrice e Donatella durante la loro "fuga" , mostrandoci il mondo dalla stessa, liberatoria angolazione da cui le vedono le due protagoniste, due identità così lontane eppure così vicine, così fragili eppure così forti. E allora ci può sembrare normale anche mangiare un un ristorante di lusso senza pagare, oppure rubare un auto, rischiare tutto per rivedere un figlio...si, ci sembra normale perché le due agiscono senza filtri, senza se e senza ma, vanno diritte al cuore, e allora uno si domanda se è questa la pazzia... I richiami nel film sono tanti, innanzitutto l 'insuperabile "Qualcuno volo sul nido del cuculo" anche se tra il rigido assistente sociale Torregiani e l'inflessibile infermeria Fletcher sono passati 50 anni di evoluzione della psichiatria, che rendono il primo più umano, poi, ovviamente, l'inossidabile "Thelma e Luise", evocata spesso durante la fuga delle due e in particolare nella scena con l auto scoperta. Ma forse questi richiami sono un ulteriore arricchimento del film, perché lo inseriscono in un prestigioso filone di pellicole incentrate su un' idea dirompente di libertà come evasione da ruoli precostituiti. L uso che fa Virzi della macchina da presa, soprattutto i ripetuti primi piani (su tutte il dialogo in cui Donatella racconta del tentato suicidio con loro due che guardano da lati opposti, è come se si fissassero senza vedersi) riducono se non azzerano il contesto,facendo emergere le due statuarie protagoniste, che sembrano ancora più gigantesche in rapporto alle figure maschili di contorno, piccoli pigmei che il regista riesce a costruire a tutto tondo pur dedicando loro pochissime scene. Sono uomini persino un po troppo schematici nelle loro illusa supponenza da bulletti di provincia o nella disperata fragilita di padri falliti, con l eccezione di due figure che si stagliano per equilibrio e in fondo per coraggio, il direttore sanitario e il padre adottivo del figlio di Donatella. Non tutto il genere maschile, evidentemente, viene per nuocere:-)
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filippo catani
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giovedì 9 giugno 2016
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la pazza gioia
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Due donne si conoscono all'interno di una comunità di recupero per chi deve seguire un percorso dettato dal tribunale. Una sostanzialmente è una mitomane violenta mentre l'altra è una madre a cui è stato dato il figlio in adozione.
Due donne in fuga che provano a darsi alla pazza gioia ma che in realtà provano a modo loro a fare i conti con i problemi delle loro vite. Virzì dirige con grande maestria questa pellicola che offre un coraggioso spaccato non solo delle comunità di recupero ma anche e soprattutto degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle realtà che si vivono in questi luoghi. Le due protagoniste variano tra autoironia e commiserazione ma cercando disperatamente di riannodare i fili del discorso.
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Due donne si conoscono all'interno di una comunità di recupero per chi deve seguire un percorso dettato dal tribunale. Una sostanzialmente è una mitomane violenta mentre l'altra è una madre a cui è stato dato il figlio in adozione.
Due donne in fuga che provano a darsi alla pazza gioia ma che in realtà provano a modo loro a fare i conti con i problemi delle loro vite. Virzì dirige con grande maestria questa pellicola che offre un coraggioso spaccato non solo delle comunità di recupero ma anche e soprattutto degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle realtà che si vivono in questi luoghi. Le due protagoniste variano tra autoironia e commiserazione ma cercando disperatamente di riannodare i fili del discorso. Il film riesce a far ridere, riflettere e nel finale l'occhio inevitabilmente finisce per inumidirsi davanti alla disperazione umana. La Bruni Tedeschi è semplicemente fantastica a calarsi nella parte e si traina una Ramazzotti capace nell'interpretare una madre fragile ma che insomma potrebbe fare meglio. Il tutto immerso nei paesaggi toscani e nelle note di Gino Paoli. Un film intenso e mai banale sulle tante storie di disagio che purtroppo passano quotidianamente sotto i nostri (distratti?) occhi.
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lorifu
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giovedì 9 giugno 2016
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una pazza amicizia
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“La pazza gioia” è l’ultima fatica di Paolo Virzì, regista sensibile e raffinato che insieme a Francesca Archebugi ha confezionato questo bellissimo film puntando sulle straordinarie performance di Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti le due protagoniste, vittime e colpevoli di una società che non sempre ha gli strumenti per intervenire nei casi di quello che comunemente e riduttivamente viene definito “disagio mentale” e che porta lo spettatore a sintonizzarsi sui tanti episodi di cronaca quotidiana che non può non legare al fallimentare ricorso alle scartoffie e alla burocrazia che spesso ne minano l’efficacia.
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“La pazza gioia” è l’ultima fatica di Paolo Virzì, regista sensibile e raffinato che insieme a Francesca Archebugi ha confezionato questo bellissimo film puntando sulle straordinarie performance di Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti le due protagoniste, vittime e colpevoli di una società che non sempre ha gli strumenti per intervenire nei casi di quello che comunemente e riduttivamente viene definito “disagio mentale” e che porta lo spettatore a sintonizzarsi sui tanti episodi di cronaca quotidiana che non può non legare al fallimentare ricorso alle scartoffie e alla burocrazia che spesso ne minano l’efficacia.
L’idea di ambientare il racconto all’interno di una comunità di recupero non è nuova ma nuovo è il modo di raccontarlo puntando soprattutto sulla caratterizzazione delle due donne così dissimili ma così unite in un abbraccio di solidarietà e di amicizia tanto da poter affermare, ancora una volta che sofferenza, amicizia amore sono svincolati da qualsiasi forma di classismo.
La Tedeschi megalomane e logorroica proveniente dal dorato mondo dell’alta società, elegante e apparentemente distaccata e la Ramazzotti, ragazza del popolo, triste e taciturna, s’incontrano o meglio si accettano ma solo per trovare insieme le risorse e il coraggio per vivere uno sprazzo di felicità in quel “manicomio a cielo aperto” che simboleggia il mondo dei sani spesso in agguato e soltanto più fortunato.
In una sequenza continua di primi piani che Virzì, splendidamente mette in risalto evidenziando gli stati d’animo senza indulgere nella retorica e nel sentimentalismo, si consuma il loro viaggio “on the road” che è anche un modo per portare alla luce i nodi irrisolti e le ombre della loro vita ma anche uno spazio personale in cui vivere un momento sospeso, “senza fine” in un’immagine illusoria di felicità.
Non sarà facile trovare la strada per il recupero che partirà da loro, dalla consapevolezza di poter contare solo su se stesse per riuscire a non perdersi definitivamente avendo scelto di vivere.
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howlingfantod
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mercoledì 8 giugno 2016
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folle....non vederlo
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Che poi uno non se ne potrebbe semplicemente tornare a casa dopo aver visto un film? Magari un po’ stravolto, forse dopo aver anche versato una lacrimuccia se il film era emotivamente forte. Che bisogno c’è di scrivere una recensione o delle riflessioni? Forse solo per condividere qualcosa che si è sentito per capire se anche gli altri lo hanno sentito. O magari per chiedere all’ autore se quel dettaglio è per come lo ha visto lo spettatore in questione il fulcro semantico del film stesso. Mi riferisco alla scena quando Beatrice e Donatella fuggono a bordo di un duetto decappottabile dalla casa della madre di Beatrice dove si sta girando un film, sfruttando, intromettendosi e poi fuggendo dalla scena del film stesso, nel/dal set, nel/dal cinema proprio, come a voler dire che il cinema sfrutta sè stesso e fugge da sé stesso per entrare nella realtà, da qui la sua forza espressiva e di rappresentazione della realtà e anche la sua vocazione direi “civile” ed etica per parlare di temi importanti e spesso taciuti e nascosti.
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Che poi uno non se ne potrebbe semplicemente tornare a casa dopo aver visto un film? Magari un po’ stravolto, forse dopo aver anche versato una lacrimuccia se il film era emotivamente forte. Che bisogno c’è di scrivere una recensione o delle riflessioni? Forse solo per condividere qualcosa che si è sentito per capire se anche gli altri lo hanno sentito. O magari per chiedere all’ autore se quel dettaglio è per come lo ha visto lo spettatore in questione il fulcro semantico del film stesso. Mi riferisco alla scena quando Beatrice e Donatella fuggono a bordo di un duetto decappottabile dalla casa della madre di Beatrice dove si sta girando un film, sfruttando, intromettendosi e poi fuggendo dalla scena del film stesso, nel/dal set, nel/dal cinema proprio, come a voler dire che il cinema sfrutta sè stesso e fugge da sé stesso per entrare nella realtà, da qui la sua forza espressiva e di rappresentazione della realtà e anche la sua vocazione direi “civile” ed etica per parlare di temi importanti e spesso taciuti e nascosti. In questo caso la grande tematica del rapporto salute-malattia, normalità-devianza. Questo è per me un pò il messaggio e il fulcro del film, magari mi sbaglio. Come a dirci, guardate che non è una cosa estetica a fare un film, è una cosa etica, smuovere le coscienze, svegliare le coscienze e qua il tema è forte e aiuta. Penso questo film dovrebbe essere passato nelle scuole, nelle stazioni ferroviarie, nei circoli, nei centri commerciali, entrare nella vita delle persone, per smuoverle, interrogarle, svegliarle. Certo poi la scenografia, il linguaggio, la sceneggiatura, il medium artistico insomma fa la differenza, certo poi si ride, si piange come in molti altri film di Virzì che seguono il filone della cosiddetta commedia all’ Italiana se questa significa qualcosa. Quello che è più importante è secondo me il tema più universale e umanissimo della cosiddetta malattia, del disagio e dell’ emarginazione e del rapporto con questo delle cosiddette persone “normali”. Mi viene in mente un racconto di Anton Cechov (reparto numero 6) dove non si sa chi siano i sani e chi i folli e di quanto sia lieve la linea che divide i sani di mente dai malati e di come siano complessi i valori per cui una società possa considerare una persona folle. Nel film questo è espresso nella profonda umanità, sofferenza e voglia di vivere delle protagoniste. Nel mondo reale lo si può trovare in ogni centro per disabili, in ogni comunità di recupero per tossicodipendenti, in ogni mensa della Caritas o più semplicemente in ogni angolo maleodorante di qualche grande stazione ferroviaria delle nostre città, proprio quegli angoli da dove fuggiamo lo sguardo, per paura di trovarci noi stessi, cioè quello che avremmo potuto essere o potremo diventare, anche così, per un nonnulla, per un ganglo della catena delle nostre vite che si inceppa. E’ un film che regala forti emozioni, dove si ride e ci si commuove e mi viene in mente che forse i veri folli sono coloro che non hanno la capacità di commuoversi con questo film, chi magari lo va anche a vedere ma rimane nel film senza pensare al disagio, a coloro che feriti dalle sberle della vita e dal caso, guardano noi “normali” e ci interrogano muti, coloro che magari incontriamo per caso ogni giorno e che i veri folli alla fine sono gli indifferenti, i duri di cuore e soprattutto tutti coloro che non vanno a vedere questo film.
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mauro2067
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mercoledì 8 giugno 2016
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non lo perdeteeee!!!
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Sembra un “Thelma e Louise” all’italiana ma proprio perché noi siamo italiani ci basta la Toscana per organizzare una fuga e non tutto l’Arkansas fino giù in Messico, e a corrergli dietro ci sono solo un paio di assistenti di un ospedale psichiatrico e una suora che riescono al massimo a perdersi in un centro commerciale e non decine di poliziotti con vetture ed elicotteri.
La bravura di Virzì sta nel saper esplorare uno spazio infinito, quello mentale, con le sue paranoie, i suoi buchi, i suoi angoli oscuri. Dietro l’avventura di due donne, condannate ad un ricovero forzato con terapie di recupero, che fuggono alla ricerca di un amore, una per il figlio dato in adozione l’altra per un uomo tanto amato ma causa della sua rovina, c’è il tema della fragilità umana, di quanto possa essere facile perdere il proprio equilibrio quando si è troppo sensibili e fragili davanti a sentimenti forti come l’amore in una società che spesso non capisce ma che è sempre pronta a giudicarti e a punirti.
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Sembra un “Thelma e Louise” all’italiana ma proprio perché noi siamo italiani ci basta la Toscana per organizzare una fuga e non tutto l’Arkansas fino giù in Messico, e a corrergli dietro ci sono solo un paio di assistenti di un ospedale psichiatrico e una suora che riescono al massimo a perdersi in un centro commerciale e non decine di poliziotti con vetture ed elicotteri.
La bravura di Virzì sta nel saper esplorare uno spazio infinito, quello mentale, con le sue paranoie, i suoi buchi, i suoi angoli oscuri. Dietro l’avventura di due donne, condannate ad un ricovero forzato con terapie di recupero, che fuggono alla ricerca di un amore, una per il figlio dato in adozione l’altra per un uomo tanto amato ma causa della sua rovina, c’è il tema della fragilità umana, di quanto possa essere facile perdere il proprio equilibrio quando si è troppo sensibili e fragili davanti a sentimenti forti come l’amore in una società che spesso non capisce ma che è sempre pronta a giudicarti e a punirti.
Dopo “Il capitale umano” e “La prima cosa bella” Virzì ci regala un’altro cioccolatino cinematografico…tutto da gustare.
Un film da non perdere anche per la strepitosa recitazione di Valeria Bruni Tedeschi, in questo film veramente immensa…
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alle 72
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lunedì 6 giugno 2016
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struggente
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solo chi ha attraversato del malessere psicologico riesce a comprendere pienamente la bellezza di questi personaggi. Curati ben definiti, maliconici. Complimenti a Virzi alla Archibugi ed alle interpreti, strepitose. Mi è dispiaciuto moltissimo vedere il film in una sala piena di persone che ridevano. Si sorride certamente, con malinconia, con tristezza. Ma ridere proprio non lo capisco. Ho trovato di gran lunga più sane le protagoniste del film piuttosto che gli spettatori. Le protagoniste del film "fanno fatica a vivere". Chi ride di questo decisamente è fuori dalla vita.
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lunedì 6 giugno 2016
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ironico, intenso, inusuale
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Da vedere decisamente. La magnifica bravura delle interpreti (la Bruni Tedeschi, poi, è semplicemente strepitosa nella sua nonchalanche: fosse un film inglese o americano vincerebbe l'oscar...) rischia addirittura di far passare in secondo piano la portata delle tematiche e del modo in cui sono trattate: chi è l'insano di mente ? e chi dice che lo sia? e siamo proprio sicuri che la "cura farmacologica" sia la panacea? La pellicola li affronta tutti, ma con una leggiadra ironia sostenuta e cementata da una solida sceneggiatura, da un mano registica sicura e - appunto - da due attrici in stato di grazia. Si esce dalla sala più ricchi, probabilmente più allegri ma con qualche sano dubbio in più sul cocnetto di presunta.
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Da vedere decisamente. La magnifica bravura delle interpreti (la Bruni Tedeschi, poi, è semplicemente strepitosa nella sua nonchalanche: fosse un film inglese o americano vincerebbe l'oscar...) rischia addirittura di far passare in secondo piano la portata delle tematiche e del modo in cui sono trattate: chi è l'insano di mente ? e chi dice che lo sia? e siamo proprio sicuri che la "cura farmacologica" sia la panacea? La pellicola li affronta tutti, ma con una leggiadra ironia sostenuta e cementata da una solida sceneggiatura, da un mano registica sicura e - appunto - da due attrici in stato di grazia. Si esce dalla sala più ricchi, probabilmente più allegri ma con qualche sano dubbio in più sul cocnetto di presunta..... "normalità"
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gommaflex28
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domenica 5 giugno 2016
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il cinema italiano fa ancora centro
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Un film bello, intenso, drammatico, ma trattato con l'ironia che solo i grandi autori italiani sanno usare. Le due protagoniste sono perfette. In particolare la Ramazzotti, da alcuni dettagli, svela un accurato lavoro di preparazione sul personaggio.
A tratti commovente.
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