carlosantoni
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mercoledì 25 maggio 2016
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thelma e louise sul nido del cuculo
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Grande Virzì! Gran bel film, anche se a volte difficile da seguire perché la realtà che descrive ti prende allo stomaco, specialmente nella prima parte. Sì, credo si possa dire che è lui, Virzì, l’erede più alto della commedia all’italiana, quella in cui si sorride, si ride anche, ma sempre restando con l’amaro in bocca. Il suo film è anche un tributo al cinema in senso lato,ironizza sulla sua funzione sociale ed evidenti sono i riferimenti a “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (di cui riprende la descrizione dell’universo carcerario, ma calato in una realtà sociale e umana molto meno feroce che non nel film di Forman), e del tutto espliciti quelli a “Thelma e Louise” di Scott. La regia appare solida, così come la sceneggiatura, che nella seconda parte del film si apre come un fiore che sboccia coi colori della delicatezza e di una maggiore introspezione, senza mai perdere il contrappunto fra comicità e ironia da una parte, e dolore e tragedia dall’altra.
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Grande Virzì! Gran bel film, anche se a volte difficile da seguire perché la realtà che descrive ti prende allo stomaco, specialmente nella prima parte. Sì, credo si possa dire che è lui, Virzì, l’erede più alto della commedia all’italiana, quella in cui si sorride, si ride anche, ma sempre restando con l’amaro in bocca. Il suo film è anche un tributo al cinema in senso lato,ironizza sulla sua funzione sociale ed evidenti sono i riferimenti a “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (di cui riprende la descrizione dell’universo carcerario, ma calato in una realtà sociale e umana molto meno feroce che non nel film di Forman), e del tutto espliciti quelli a “Thelma e Louise” di Scott. La regia appare solida, così come la sceneggiatura, che nella seconda parte del film si apre come un fiore che sboccia coi colori della delicatezza e di una maggiore introspezione, senza mai perdere il contrappunto fra comicità e ironia da una parte, e dolore e tragedia dall’altra. Eccellente la fotografia e l’uso della mdp.
Ma un elogio particolare, particolarissimo, sento di doverlo tributare alla bravura delle due interpreti principali, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, i cui ruoli diversissimi poco per volta finiscono per compendiarsi e compenetrarsi, lasciando che l’affetto, la fiducia che s’instaurano fra loro prevalgano poco per volta sulle nevrosi e la depressione, è semplicemente eccezionale. Difficile vedere due attrici recitare a così altissimi livelli in un duetto complicato e continuo, strettissimo, tanto da poter risultare a volte estenuante. Spero ottengano i più alti riconoscimenti per la loro arte, come d’altra parte il grande, grandissimo Paolo Virzì.
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tuko benedicto
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martedì 24 maggio 2016
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canto fuori dal coro: un film non riuscito
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sono due personaggi che si incontrano ed imparano ad amarsi. diversi tra loro che più non si può. una parla tantissimo per tutto il film, e di lei parlano tanto anche molti degli altri personaggi della narrazione, l'altra parla pochissimo per 3/4 del film e poi vuota il sacco nell'ultimo quarto: ma non è molto eloquente perché tutto sommato la sua storia è tragica ma semplice.
Cosa scricchiola: il personaggio della Bruni Tedeschi, prolisso, verboso è quello che ci interessa di più ma che, nonostante le molte parole, non si completa. Il personaggio della Ramazzotti invece non ha molto da dire, certo commuove, ma proprio per questo indagarlo è un terreno paludoso, e si rischia di cadere nello 'strappalacrime', se non si ha qualcosa da dire su certi (tremendi) argomenti.
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sono due personaggi che si incontrano ed imparano ad amarsi. diversi tra loro che più non si può. una parla tantissimo per tutto il film, e di lei parlano tanto anche molti degli altri personaggi della narrazione, l'altra parla pochissimo per 3/4 del film e poi vuota il sacco nell'ultimo quarto: ma non è molto eloquente perché tutto sommato la sua storia è tragica ma semplice.
Cosa scricchiola: il personaggio della Bruni Tedeschi, prolisso, verboso è quello che ci interessa di più ma che, nonostante le molte parole, non si completa. Il personaggio della Ramazzotti invece non ha molto da dire, certo commuove, ma proprio per questo indagarlo è un terreno paludoso, e si rischia di cadere nello 'strappalacrime', se non si ha qualcosa da dire su certi (tremendi) argomenti... forse qui più che altrove vale la celeberrima massima di Wittgenstein: "di ciò che non si sa occorre tacere". La negatività di cui sono investiti i personaggi di contorno (in qualche modo tutti colpevoli) rischia di diventare gratuita se non raccontata; tra tutti il più inquietante forse è il Bobo Rondelli (che si presenta con una performance alla Carmelo Bene di "Cristo 63") che non ha neanche un'ombra di comicità, è solo grevemente truce. Più che dell'accusa a lui mi sarebbe interessata la visione positiva della Bruni Tedeschi, il suo amore per il bel vivere e la sua assoluta non curanza per il danaro, forse la cosa più bella del film. Oltre al corpo bellissimo che ostenta in ogni fotogramma ed alla battuta "chi ha mai trovato la felicità con un tramezzino?" che spero rimpiazzi, come merita, "domani è un altro giorno" tra le frasi famose del cinema. Ciò premesso: ti voglio bene Paolo Virzì!
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raffaele
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martedì 24 maggio 2016
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due e mezzo
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molto meglio poteva lavorare con le storie...
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garfy
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lunedì 23 maggio 2016
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virzì non mi ha convinto
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Avevo particolarmente apprezzato Virzì nell'ultima sua fatica, Il Capitale Umano, ma questo nuovo film non mi convince, pur constatando che lui è uno dei pochi registi italiani che ha un minimo di profondità. Spiego perché sono rimasto deluso. Intanto, di primo acchito, c'è un senso di deja-vue: situazioni già viste, storia già chiara fin dall'inizio nel suo sviluppo (forse la conclusione, che non finisce con un tuffo in mare, è la cosa meno scontata). L'idea dei "pazzi" che non sono poi tanto pazzi, persone deboli che soccombono alla crudezza della vita e all'anomalia delle loro risposte psicologiche mentre i "normali" non sono meglio di loro (e talvolta anche peggio) è un'idea già costruita, già nota, già vissuta, anche nel cinema e non soltanto nella letteratura.
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Avevo particolarmente apprezzato Virzì nell'ultima sua fatica, Il Capitale Umano, ma questo nuovo film non mi convince, pur constatando che lui è uno dei pochi registi italiani che ha un minimo di profondità. Spiego perché sono rimasto deluso. Intanto, di primo acchito, c'è un senso di deja-vue: situazioni già viste, storia già chiara fin dall'inizio nel suo sviluppo (forse la conclusione, che non finisce con un tuffo in mare, è la cosa meno scontata). L'idea dei "pazzi" che non sono poi tanto pazzi, persone deboli che soccombono alla crudezza della vita e all'anomalia delle loro risposte psicologiche mentre i "normali" non sono meglio di loro (e talvolta anche peggio) è un'idea già costruita, già nota, già vissuta, anche nel cinema e non soltanto nella letteratura.
Rimane l'intreccio, che ha qualcosa di meno scontato con l'interazione fra i due personaggi femminili. Però su tutto, ancora una volta, domina il senso di vedere qualcosa che è già contenuto in nuce fin nella prima inquadratura.
Sull'interpretazione, purtroppo, la Ramazzotti è al di sotto di qualsiasi standard decente: non mi sembra un'attrice, è soltanto una bella donna, come prima è stata una bella ragazza. Sicuramente più brava e più versatile (ma lo ha già dimostrato in innumerevoli situazioni) Valeria Bruni Tedeschi.
Il problema della maggior parte dei film italiani è la debolezza della sceneggiatura, e questo film non cambia le carte in tavola. Archibugi e Virzì non hanno la necessaria profondità, non sono neppure lontanamente imparentati con i grandi sceneggiatori e registi del passato. Ma purtroppo dobbiamo accontentarci di quel che passa il convento. Non gridiamo però, per favore, al capolavoro, non usiamo troppi superlativi per un film che non ha né originalità né profondità.
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[+] film non sempre convincente
(di luckyluc)
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robert eroica
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lunedì 23 maggio 2016
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fuga di donne
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Cosa resta della commedia, nel Paese dove hanno perso tutti ? Resta l’esempio di “La pazza gioia” presentato a Cannes in una sezione collaterale ma capace di raccogliere su di sé unanimi consensi di pubblico e critica. Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti: Thelma e Louise (dall’omonimo film di Ridley Scott del 1990) non c’entrano nulla. Le fonti (cinematografiche ma non solo) di Virzì sono altre. Leggiamo i titoli di alcuni dei suoi lavori: “La bella vita”, “Ferie d’agosto”, “Ovosodo”, “Caterina va in città”. Sembrano roba tra Calvino, Bianciardi e il primo Fellini.
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Cosa resta della commedia, nel Paese dove hanno perso tutti ? Resta l’esempio di “La pazza gioia” presentato a Cannes in una sezione collaterale ma capace di raccogliere su di sé unanimi consensi di pubblico e critica. Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti: Thelma e Louise (dall’omonimo film di Ridley Scott del 1990) non c’entrano nulla. Le fonti (cinematografiche ma non solo) di Virzì sono altre. Leggiamo i titoli di alcuni dei suoi lavori: “La bella vita”, “Ferie d’agosto”, “Ovosodo”, “Caterina va in città”. Sembrano roba tra Calvino, Bianciardi e il primo Fellini. Virzì guarda allo stile del cinema italiano degli anni 60 per descrivere le brutture dell’oggi. Descrive l’Italia come la nazione mancata per eccellenza, e lo fa squadernando un tono appropriato ed efficace, tra l’inacidito e il sarcastico, la tragicommedia con la comicità. Non scade mai nel patetico, e non c’è commiserazione. Ma anche quando si ride, si ride amaro. Nel film la Bruni Tedeschi si aggira come una vamp usurata, la donna caduta dal piedistallo sociale, quasi una “Blue Jasmine” di casa nostra, preda di tutti. La Ramazzotti è una ragazza madre fragilissima e abbandonata, che tatua sul proprio corpo le debolezze dell’anima. Sono dichiarate pazze. Dalle sentenze, dalle gabbie sociali, dall’ipocrisia degli altri. Insieme tenteranno una fuga verso l’altrove, un breve tentativo di attingere ad una piccola Utopia, quella di essere persone tra le persone. Durerà il tempo di una brevissima estate, ma resterà indelebile. Non tutto è a fuoco in questo “La pazza gioia”, e la parte centrale soffre di un affastellarsi di impronte di sceneggiatura non tutte pertinenti, ma il ritratto di un mondo alla deriva è potente e non si dimentica facilmente. Come quella ridda di maschi ripugnante e meschina: dall’erotomane all’amante poco di buono, da un marito senza dignità ad un padre che paga la sua assenza con cento euro lasciati sul comodino di un pronto soccorso, da un gestore di discoteca irresponsabile e manesco ad un taxista che “giudica” la vittima ponendosi sullo stesso piano degli aggressori che le stanno estorcendo denaro. Una galleria così “nera” non la si vedeva da noi dai tempi di “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli e “L’ingorgo” di Luigi Comencini. Mentre, dall’altro lato, quello della tenerezza dei lunghi addii, è comunque commovente l’incontro tra la madre mancata e il figlioletto ritrovato, che è tutto tranne che accomodante, ben sapendo la prima, che non lo rivedrà mai più, se non in un futuro ricordo, indotto dalla morfina.
Robert Eroica
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marce84
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lunedì 23 maggio 2016
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la follia secondo virzi'
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Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Morelli sono due donne, ospiti di Villa Biondi, un istituto terapeutico che cerca di recuperare donne sottoposte a un’ordinanza del giudice. Le due, apparentemente molto diverse, riescono a fuggire dall’istituto e a girovagare per la Toscana per un paio di giorni. Le legheranno diverse vicissitudini, ma soprattutto il nascere di un’amicizia, nonostante le loro difficoltà, psicologiche e sociali.
L’ultima opera di Virzì è un film duro, drammatico, che ha come tema principale quello della follia e, in particolare, di quella femminile. Il regista rappresenta questa tematica con grande sensibilità, sottolineando come la maggior parte delle volte, la follia sia quasi una reazione alle brutture e alla meschinità del mondo circostante.
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Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Morelli sono due donne, ospiti di Villa Biondi, un istituto terapeutico che cerca di recuperare donne sottoposte a un’ordinanza del giudice. Le due, apparentemente molto diverse, riescono a fuggire dall’istituto e a girovagare per la Toscana per un paio di giorni. Le legheranno diverse vicissitudini, ma soprattutto il nascere di un’amicizia, nonostante le loro difficoltà, psicologiche e sociali.
L’ultima opera di Virzì è un film duro, drammatico, che ha come tema principale quello della follia e, in particolare, di quella femminile. Il regista rappresenta questa tematica con grande sensibilità, sottolineando come la maggior parte delle volte, la follia sia quasi una reazione alle brutture e alla meschinità del mondo circostante. O come scelta obbligata di sopravvivenza da parte delle protagoniste, fragili, sensibili e desiderose di amore. A sottolineare ciò, il regista mette in scena una serie di personaggi, davvero deprecabili, col quale inevitabilmente le due protagoniste si devono relazionare. In particolare, sono i genitori a fare una pessima figura: rappresentati come persone egoiste, che non riescono a capire le esigenze delle figlie e non ci provano nemmeno ad avvicinarsi a loro. Virzì, come suo solito, riesce a rappresentare una storia e una tematica dura, utilizzando toni da commedia e, nonostante il film sia costantemente immerso in una atmosfera di tristezza e di malinconia, le risate suscitate da alcune scene o alcune battute abbondano. Soprattutto grazie al personaggio interpretato da Valeria Bruni Tedeschi, strepitosa, decisamente sopra le righe, nel personaggio della donna ricco borghese snob e completamente folle, vera trascinatrice del film. Punto di forza del film, oltre all’ottima sceneggiatura, è l’alchimia che si crea con l’altra protagonista: Micaela Ramazzotti, personaggio dolente, malinconico che si integra alla perfezione con Beatrice e con la quale crea una coppia dirompente. Ma a commuovere è soprattutto l’amicizia che nasce tra le due donne, che, nonostante le loro differenze, e soprattutto, le difficoltà psicologiche e sociali che le legano, si danno forza l’un l’altra. Commuove soprattutto lo slancio vitale di Beatrice, snob e distaccata da tutti, ma che si danna anima e corpo per aiutare Donatella. Insomma, Virzì sforna un altro film che coinvolge davvero tanto, perché riesce a far diventare i suoi personaggi molto vicini a noi, come se fossero amici e persone alle quali non si può non voler bene. Questa è la magia che i suoi film riescono a creare.
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pettirosso
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lunedì 23 maggio 2016
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la fragilità della mente umana
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Con la parola pazzia siamo soliti definire ciò che è diverso dal comune. Pazzo è chi fa o dice cose apparentemente fuori luogo. Chi ha reazioni esagerate, veste in maniera estrosa, parla da solo…
Non ci fermiamo mai a chiederci il perché, preferiamo semplificare con un appellativo.
La nostra mente non fa mai cose senza senso; appaiono tali per chi le osserva e non le riconosce, per chi non le vive sulla propria pelle, per chi non ne comprende il significato.
Un film che esprime al meglio la fragilità della mente umana. Nella vita cresciamo imparando ad essere ogni giorno più forti, a non farci abbattere da nulla, ma non siamo macchine. Esiste un limite fissato in un punto diverso per ognuno di noi.
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Con la parola pazzia siamo soliti definire ciò che è diverso dal comune. Pazzo è chi fa o dice cose apparentemente fuori luogo. Chi ha reazioni esagerate, veste in maniera estrosa, parla da solo…
Non ci fermiamo mai a chiederci il perché, preferiamo semplificare con un appellativo.
La nostra mente non fa mai cose senza senso; appaiono tali per chi le osserva e non le riconosce, per chi non le vive sulla propria pelle, per chi non ne comprende il significato.
Un film che esprime al meglio la fragilità della mente umana. Nella vita cresciamo imparando ad essere ogni giorno più forti, a non farci abbattere da nulla, ma non siamo macchine. Esiste un limite fissato in un punto diverso per ognuno di noi. Superato quello, la nostra corazza si disintegra e se non siamo in grado di aggrapparci ad una qualsiasi motivazione che ci spinga a raccogliere i nostri pezzi, si rischia di restare bloccati nella “pazzia”, questo strano mondo fatto di incompresi.
Un film che insegna anche la forza della speranza. Siamo soli in questo mondo, nessuno può salvarci al posto nostro, ma è altrettanto vero che senza l’aiuto di qualcuno che ci dia una speranza, una motivazione, una forza esterna, non ci si possa salvare. Non negate mai un sorriso, non costa nulla e per chi lo riceve può essere il motore della salvezza.
Due interpretazioni eccellenti, la Tedeschi in particolare supera sé stessa.
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no_data
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lunedì 23 maggio 2016
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due attrici da oscar!!!
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da anni non vedevo un film che mi ha emozionato. interpretato da oscar bello tutto non so cosa dire di più le parole sono superflue grazie al regista per la storia grazie alle attrici per avermi trasmesso l'intimo dei pensieri grazie grazie
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pintaz
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lunedì 23 maggio 2016
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dove si trova la felicita'?
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Beatrice, chiacchierona anche mentre dorme, presunta contessa, confessa anche all'ultimo uomo della terra di essere in intimità con i potenti che governano il mondo. Incontra nella comunità terapeutica, nel pistoiese, Donatella giovane donna piena di tatuaggi e con il volto solcato da un doloroso segreto tanto fragile quanto silenziosa. Entrambe, come altre donne che si trovano nella casa di cura, vengono classificate come socialmente pericolose.
Eccolo il nuovo capolavoro del regista toscano Paolo Virzì.
La inaspettata amicizia fra le due donne le porterà a una fuga dalla vita strampalata per ricercare, oltre a sé stesse, quella felicità desiderata, e appena intravista nel passato, in quel marasma che viene definito il mondo dei sani.
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Beatrice, chiacchierona anche mentre dorme, presunta contessa, confessa anche all'ultimo uomo della terra di essere in intimità con i potenti che governano il mondo. Incontra nella comunità terapeutica, nel pistoiese, Donatella giovane donna piena di tatuaggi e con il volto solcato da un doloroso segreto tanto fragile quanto silenziosa. Entrambe, come altre donne che si trovano nella casa di cura, vengono classificate come socialmente pericolose.
Eccolo il nuovo capolavoro del regista toscano Paolo Virzì.
La inaspettata amicizia fra le due donne le porterà a una fuga dalla vita strampalata per ricercare, oltre a sé stesse, quella felicità desiderata, e appena intravista nel passato, in quel marasma che viene definito il mondo dei sani.
Si ride non fino alle lacrime ma con le lacrime medesime e ci si commuove non fino a ridere ma a sorridere. Il segreto, penso, sia tutto qui. Una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi mostra fragilità ironia, perfidia e quella voglia, che appartiene a ognuno di noi, di essere ascoltata senza alcuna preclusione e desiderosa di un abbraccio sincero privo di commiserazione e compassione. Micaela Ramazzotti sempre dentro il personaggio e anche oltre ci porta, con un pugno nello stomaco, alla sconfitta della famiglia, alla frustrazione di donna, in balia degli eventi, ma mai di mamma.
Il film ritorna alla Legge Basaglia che introdusse un'importante revisione degli ospedali psichiatrici in Italia e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti sul territorio. Basaglia istituisce subito, all'interno dell'ospedale psichiatrico, laboratori di pittura e di teatro. Anche nel film esiste una cooperativa di lavoro per i pazienti, che così cominciano a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti.
Al termine della pellicola si rimane inchiodati alla poltrona. Mentre si tira fuori il fazzoletto, e non per il raffreddore, ho pensato a quello che il regista toscano ha voluto che si percepisse. Se la società vuole riconoscere la follia come essenzialità della ragione nel quotidiano, perchè ci deve essere la scienza che in virtù di questo vuole eliminarla?
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melania
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lunedì 23 maggio 2016
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delusione ....
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Tutto poco credibile e prevedibile.
Bruni tedeschi brava ma sempre esagerata .... ramazzotti mediocre
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