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Ultimo aggiornamento lunedì 26 settembre 2016
Un documentario che scava nella società svedese, conosciuta per aver creato le persone più autonome in tutto il mondo.
CONSIGLIATO SÌ
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In Svezia, oggi, vige un welfare inaugurato dalle politiche socialiste dei primi anni '70, volte a rendere indipendenti i singoli dal vincolo economico dei familiari. Un indirizzo sociale teso alla liberalizzazione dei rapporti sociali ma paradossalmente virato ai limiti dell'autoritarismo, che in quattro decenni avrebbe favorito la creazione di famiglie mononucleari e il radicalizzarsi di un individualismo conformista e infelice. È la tesi del documentarista Erik Gandini, di madre svedese e padre italiano, noto al pubblico italiano per il controverso Videocracy (2009), che si ispira al saggio di Lars Traghard e Henrik Berggren (il cui titolo italiano sarebbe "Gli svedesi sono umani?") del 2006.
Naturalizzato svedese e con base a Stoccolma, Gandini lancia allo spettatore delle provocazioni a partire dal titolo e dal confronto tra due opposte scale di valori: egoismo consumistico versus collettivismo solidale, solipsismo contro espressione del sé, Occidente contrapposto all'Africa. Il punto di vista è quindi insieme interno ed esterno, critico e partecipe, volutamente ambiguo, tra ironia (per pochi) e freddezza glaciale: la "teoria svedese dell'amore" sostiene che alla base di una relazione autentica ci sia l'assenza di vincoli di dipendenza. L'autore sembra concentrarsi sullo sbriciolamento del mito (non solo italiano) dell'amore libero: ma il tono didascalico, quasi super partes, della voice over che accompagna le immagini (con in più l'effetto eco sulle parole chiave), l'insistenza della macchina da presa su inquadrature simboliche come ambienti asettici, freddi, vuoti o abitati da una sola persona, illuminati spesso da una luce bianca e potente, e un commento musicale sopra le righe non rendono un buon servizio all'intento dialogico del film.
Vengono accostati tra loro alcuni casi che dovrebbero relativizzare il valore dell'indipendenza nella società svedese ma che sullo schermo si fermano allo status di aneddoti: la donna single che vuole un figlio in fecondazione assistita ma non un compagno; i dipendenti statali incaricati di documentare le morti delle persone di cui nessuno si interessa; donatori di sperma in azione (che rievocano la comicità da alienazione dell'episodio nordeuropeo di Sesso matto di Dino Risi) e il manager vagamente xenofobo di una società di congelamento del seme; un gruppo volontario di ricerca di persone scomparse; una comunità che rifiuta l'alienazione imposta dal governo cercando uno stile di vita alternativo nella libera espressività nel bosco; una mediatrice culturale che fa da tramite tra i cauti locali e i rifugiati siriani. A fare da controcanto a questi connazionali, un chirurgo emigrato in Eritrea, che ribalta la prospettiva con la sua esperienza in un contesto in cui la comunità e la lotta alla sopravvivenza oscurano ogni pericolo di individualismo (come illustra una sequenza, al confine con il mondo movie, di rimozione di una lancia dal corpo di un cacciatore). In campo insomma tanti, forse troppi, temi e spunti da dibattere, con una certa sproporzione tra i segmenti narrativi.
Si avverte la mancanza di un'argomentazione logica che li tenga insieme e li faccia interagire. La sacrosanta critica all'indipendenza come dogma assoluto, e in favore dell'interdipendenza, è concetto frenato da un'argomentazione filmica stilizzata. Non stupisce quindi la coda riservata all'appiglio teorico alto quale l'intervento del sociologo Zygmunt Bauman, condivisibile denso di concetti illuminanti ("siamo privati della gioia di aver risolto dei problemi quando il comfort aumenta"), che stona per lucidità rispetto all'esibizione algida delle immagini ricercate che lo precedono. Trasmesso a luglio 2016 da Rai3 nella serie Doc 3.
Non sono d'accordo con Enrico Danelli. Ho visto il film, ho avuto precedenti esperienze con svedesi, sono stata 5 mesi nei Paesi Bassi, etc. Quindi mi sento di poter dire alcune parole: innanzittutto ho conosciuto uno psicologo italiano che lavora in Danimarca. E lui mi ha confermato quanto detto dal regista e da Baumman... Chi non ha per niente problemi, chi ha la strada spianata, non è [...] Vai alla recensione »
Il film non è male per la tecnica espositiva a mo' di documentario, per giunta scorrevolmente piacevole, ma nella sostanza si rivela essere nient'altro che una eccessiva e ingiustificata critica ad un sistema quasi perfetto, quello svedese, dove tutti pagano le tasse, i servizi statali funzionano e insieme si concorre al bene comune più che in [...] Vai alla recensione »
Negli ultimi decenni è stata considerata la nazione modello, capace di offrire un sostegno ideale ai propri cittadini. Eppure la "civilissima" Svezia nasconde non poche ombre, raccontate nel documentario di Erik Gandini, La teoria svedese dell'amore, che dimostra come dietro il mito dell'autonomia individuale si nascondano solitudine e povertà spirituale.
La Svezia è quel paradiso di organizzazione di cui si parla? A vedere questo documentario di Gandini verrebbe da rispondere con un «ni». Nel senso che l'indipendenza assoluta dei singoli, vaticinata dai loro politici, ha trasformato gli svedesi in un popolo realmente autonomo, moltiplicando, però, solitudini, morti dimenticati, inseminazione artificiale.
Nel 1968 uscì un imbarazzante mondo-movie italiano intitolato Svezia inferno e paradiso che metteva l'accento soprattutto sul termine "inferno". La Svezia vi era rappresentata come un concentrato di perversioni sessuali, devianze e suicidi da bacchettare e sbeffeggiare. Anche La teoria svedese dell'amore di Erik Gandini (Videocracy) contiene una dose di moralismo.