Anno | 2015 |
Genere | Biografico |
Produzione | Giappone, Francia |
Durata | 126 minuti |
Regia di | Kôhei Oguri |
Attori | Joe Odagiri, Miki Nakatani, Ana Girardot, Angèle Humeau, Marie Kremer Ryo Kase, Lily, Ittoku Kishibe, Sebastien Sisak, Munetaka Aoki, Alexia Chicot, Seiji Fukushi, Takehiro Hira, Hisashi Igawa, Morio Kazama, Jordan Onderberg, Romane Portail, Kengo Saito. |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 17 settembre 2015
Il film è interpretato da Jo Odagiri e Miki Nakatani e si tratta di una co-produzione nippo-francese.
CONSIGLIATO SÌ
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Parigi, primi Anni Venti: l'artista giapponese Tsuguharu Foujita è uno dei pittori più seguiti della capitale. Il suo stile molto personale, incentrato sulla rappresentazione di donne nude avvolte in abiti bianchi e delicati, sorprende la scena artistica di Montparnasse. Le sue amicizie con Van Dongen, Kisling, Picasso, Modigliani e altri pittori, lo influenzano molto e lo portano a condurre una vita frenetica per le strade di Parigi.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Foujita torna in Giappone, il suo paese d'origine. Si trova costretto a vivere miseramente in un piccolo paese del nord, Aomori, insieme alla moglie Kimiyo. Cercando rifugio in campagna, Foujita scopre un nuovo Giappone, lasciandosi affascinare da ciò che non aveva mai visto.
Foujita segna il ritorno dietro la macchina da presa di Oguri Kohei, a dieci anni da The Buried Forest. Nel disegno della parabola artistica e personale del pittore eponimo, coevo di Picasso, Matisse e Modigliani, molto ammirato in Francia, ma poi controverso in patria per il suo contributo alla propaganda militare durante la Seconda Guerra Mondiale, ritroviamo gli elementi che creano fascinazione e suscitano perplessità nel cinema di Oguri. Dopo il trionfo cannense del capolavoro L'aculeo della morte (Grand Prix di Cannes 1990), Oguri pare difatti essersi dedicato ad una visibile rincorsa di consensi presso festival e critici occidentali, attraverso una ricercatezza formale prossima all'affettazione e a parentesi (auto)esotizzanti poco digeribili.
Non stupisce, quindi, che Oguri abbia trovato interesse nel portare al cinema la storia di Foujita, visto che per certi versi pare uno specchio del suo percorso artistico. Non stupisce nemmeno che Cannes abbia detto no al film, visto che la parte francese del film è compromessa da pesanti cliché figurativi e narrativi (nonché dall'evidente difficoltà di Odagiri Jo a recitare in francese). Nel segmento conclusivo, d'ambientazione nipponica, meno narrativo, ambiguo e quasi mistico, Oguri inanella composizioni di grande beltà, scadendo, però, come già in The Buried Forest in un utilizzo pasticciato degli effetti speciali. La giustapposizione dello sconfortante segmento francese a queste immagini sontuose rischia però di rinfocolare e rafforzare il sospetto di una ricerca figurativa mirata all'incantamento attraverso la deliberata sottolineatura dell'alterità.