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La politica degli autori: David Fincher

Il regista che non ci domanda se siamo pessimisti, ma se lo siamo abbastanza.
di Mauro Gervasini

In foto il regista David Fincher.
David Fincher (David Leo Fincher) (62 anni) 28 agosto 1962, Denver (Colorado - USA) - Vergine. Regista del film L'amore bugiardo - Gone Girl.

mercoledì 17 dicembre 2014 - Approfondimenti

Su David Fincher, classe 1962, presi una solenne cantonata. Nonostante fosse il regista dei video degli Stones periodo "Voodoo Lunge" - "Bridges to Babylon", ho sempre pensato si trattasse di un autore sopravvalutato, e fino a un certo punto nessuno dei suoi film mi aveva convinto del tutto. Poi una visione domestica (perché lo snobbai in sala) di The Social Network nel 2011 ebbe il classico effetto della folgorazione sulla via di Damasco. Oggi considero quel film un capolavoro e David Fincher il miglior regista "around Hollywood" dopo Michael Mann. La storia dell'inventore di Facebook Mark Zuckerberg poteva essere sulla carta un banale biopic e invece si trasforma in una riflessione molto amara e profonda sull'incidenza sociale dei new media. Al centro della scena un uomo leonardesco con 500 milioni di "amici" sulla bacheca di FB, in realtà solo come un cane.
Naturalmente del regista ho anche rivisto tutte le cose precedenti, in certi casi cambiando completamente idea (Fight Club è col senno di poi fondamentale) in altri restando più scettico (Il curioso caso di Benjamin Button, come dice Caparezza, se lo pensi al contrario è un film come tutti gli altri). Ma è soprattutto l'ultimo Fincher a intrigarmi. Millennium - Uomini che odiano le donne (2012), ad esempio, sonoro insuccesso in sala, stravolge l'assunto (il best seller di Stieg Larsson e relativa saga cinetelevisiva svedese) prendendo le distanze anche dal thriller, nonostante la sequenza della sodomia di Bjurman su Lisbeth sia terribilmente disturbante, per concentrarsi sul riscatto di due figure forti, Mikael e Lisbeth, diversamente sole e sotto scacco. Poi, colpisce. Il suo Millennium è come un trapano che perfora la patina ipocrita delle regole sociali, per le quali non si può fumare in ufficio, in ospedale o in casa (attenzione però: tranne i potenti...), ma nessuno vede o sente che nelle viscere delle stesse dimore ci sono fanciulle fatte a pezzi. Le convenzioni della buona creanza e dell'alta finanza, dove si ha scrupolo di non offendere ma poco importa se qualcuno scompare, muore o uccide. Fincher con il lungo epilogo salda la prima parte della "carne" (i tatuaggi e i piercing di Lisbeth, la violenza sui corpi) con quella algida degli affari e della finanza, e rasenta il capolavoro cyberpunk, con il contrappunto delle musiche di Trent Reznor e Atticus Ross e del metallo urlante che scorre sui titoli di testa. Già: i titoli di testa. Fin da Seven (1995) presagio di inedita potenza grunge e superamento dei clichè della confezione. Fincher negli anni '90 parte da una contaminazione non nuova (i linguaggi di spot, rock, videoclip e cinema) per raccontare il caos di una modernità neppure più "post", perché già sua feroce conseguenza. Descrive con toni cupi (gli stessi, prima, di Alien al cubo e poi, appunto, di Seven e Fight Club) la ricerca tra le macerie di uno straccio di umanesimo, e alla fine trova solo uomini e donne feriti, terrorizzati, soli.
Con The Game - Nessuna regola (1997) ha prima di Christopher Nolan l'idea del film-rompicapo come chiave di lettura di una realtà sempre più definita per scatole cinesi, inestricabile e incomprensibile. Con Zodiac (2007) affossa la logica che poteva decifrarla. Oggi con L'amore bugiardo - Gone Girl, in sala dal 18 dicembre, illude possa essere l'amore a far girare il mondo, ma è la menzogna. Pessimista, Fincher? Parafrasando il discorso sulla paranoia di Strange Days, forse il suo cinema consiglia non di domandare a noi stessi se siamo pessimisti, ma se lo siamo abbastanza.

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