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Distretto 12, le brigate del reality

Hunger Games, stelle e strisce tinte di nero.
di Roy Menarini

In foto l'attrice Jennifer Lawrence in una scena di Hunger Games di Gary Ross.
Jennifer Lawrence (34 anni) 15 agosto 1990, Louisville (Kentucky - USA) - Leone. Interpreta Katniss Everdeen nel film di Gary Ross Hunger Games.

domenica 6 maggio 2012 - Approfondimenti

Se già nel 1965 Elio Petri con La decima vittima era in grado di raffigurare una società dello spettacolo dominata da giochi di morte spettacolarizzati per i mass media, figuriamoci quasi cinquant’anni dopo nell’epoca dei reality e dei talent. E, in effetti, tra tutti i meriti di Hunger Games non vi è certo quello dell’originalità, a cominciare dal primo romanzo di Suzanne Collins e ad arrivare alla trasposizione di Gary Ross, piena di déja-vu e di simbologie pacchiane – da Guglielmo Tell alla tragedia greca passando per Metropolis. Altro paio di maniche, invece, la materia più densa del film, quella che lo anima, una volta messe da parte le perplessità sulla condanna dei media (a ben vedere la cosa meno interessante).
Qui sì che emerge una singolare e sorprendente attitudine di Hunger Games, quella di costituire una fantasia assai sinistra sulla società americana, una distopia molto sgradevole e l’ennesima dimostrazione che – in una civiltà ormai disabituata ai riti di passaggio – se ne provano a immaginare di terribili. La furia omicida con la quale giovani adolescenti, che in altre pellicole made in Usa magari avrebbero al massimo rappresentato il bullismo da high school, accoppano i loro coetanei, fa trasparire un clima di sfiducia tutt’altro che sotterraneo nei confronti dei tempi in cui viviamo. Ciò non significa che Hunger Games, con la sua eroina arciera e i distretti schiavizzati pronti alla rivolta, sia un Twilight all’epoca di Occupy Wall Street, come qualcuno tra i critici americani ha suggerito, ma che in ogni caso di spunti sociologici non ne mancano: l’ennesima riconfigurazione del rapporto traumatico tra natura e tecnica nella storia statunitense, la wilderness come orizzonte simbolico ancora valido, la già citata trasformazione delle soglie di superamento dell’età giovanile, la tirannia come spauracchio di un mondo in caduta libera. Se la trama, come detto, ricalca modelli noti, la dimensione della miseria e della fame nei distretti più poveri è sicuramente segnata dalla crisi economica, come molto cinema americano di questi anni.
Emerge, in effetti, una controprova al fatto che a Hollywood horror e fantascienza non vanno mai a braccetto, bensì emergono a seconda del contesto storico. In epoca di guerre in Iraq e Afghanistan, di Abu Grahib e decapitazioni, toccava all’horror commentare crudelmente il clima di barbarie (saga di Saw, di Hostel, e così via); oggi è la fantascienza a rappresentare le metafore più riuscite di un’angoscia finanziaria che attanaglia tutto l’Occidente (Inception, In Time, ecc.). Anche nei blockbuster per adolescenti, l’horror all’acqua di rose di Twilight lascia spazio, in dissolvenza incrociata, alla fantascienza di Hunger Games, di cui ora si attendono gli sviluppi nei sequel.

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