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Il ritorno al futuro del cinema muto

Sorprese e contraddizioni di The Artist.
di Roy Menarini

In foto Jean Dujardin in una scena del film The Artist di Michel Hazanavicius.
Jean Dujardin (52 anni) 19 giugno 1972, Parigi (Francia) - Gemelli. Interpreta George Valentin nel film di Michel Hazanavicius The Artist.

lunedì 12 dicembre 2011 - Approfondimenti

Sul fatto che The Artist sia piaciuto, non sussistono molti dubbi. Il film di Michel Hazanavicius gode ovunque di consensi critici. Per esempio il 95% delle recensioni positive contate sul sito specializzato Rotten Tomatoes. O la media voto ben oltre l’8 da parte del pubblico su Imdb. O ancora la Palma per il miglior attore, Jean Dujardin, vinta a Cannes 2011, cui si aggiunge il trionfo al New York Critic Circle Award, che fa ben sperare anche per gli Oscar. E non dimentichiamo ovviamente il lusinghiero risultato al mymonetro.
Bene, quando i numeri sono così chiari, mettendo d’accordo festival, premi, critica e spettatori, bisogna solo prendere atto dell’oggettiva forza estetica del film. Ci permettiamo solamente alcune riflessione a margine, con la lente dello storico del cinema più che del critico. The Artist sconta alcune interessanti contraddizioni. Anzitutto è un film muto che si occupa del passaggio al sonoro. Certo, il tema della difficile transizione artistica tra gli anni Venti e gli anni Trenta era stata oggetto di altri capolavori, come Cantando sotto la pioggia, ma ovviamente non di un film dell’epoca precedente al mutamento stesso. Dunque, la storia stessa esclude che si possa parlare di “falso d’autore”, poiché un film muto che racconta la vicenda narrata da The Artist sarebbe stata impossibile.

L'imitazione manierista riguarda perciò l’apparato tecnico-stilistico, dal formato alla recitazione, dalla luce alle didascalie, che ci riportano al cinema muto, in particolare a quello della seconda parte degli anni Venti. Ciò – è stato detto – sorprende ancor di più nell’epoca del 3D e del cinema in salsa videogame. Ma siamo proprio sicuri? È così vero che The Artist segna un punto in favore del cinema del passato e della nostalgia verso la purezza dei tempi che furono? Non proprio. È tipico della nostra contemporaneità, almeno dagli anni Ottanta in poi, nella cultura cosiddetta postmoderna (ancora molto presente), rievocare esperienze artistiche e cinematografiche del passato attraverso il diaframma del pastiche e del gioco. E The Artist è appunto un gioco, un grande omaggio ai cliché del muto – più orecchiati che davvero vivificati –, una sentita (e astuta) celebrazione del passato che potrà durare lo spazio di un solo film. Siamo pronti a scommettere, infatti, che non si produrranno altri film muti nei prossimi anni, che il cinema muto – quello vero – continuerà a rimanere un terreno riservato a cinefili e studiosi, e che The Artist si rivelerà più che altro un divertente, intelligente spasso citazionista.

In anni nei quali il mondo del cinema sta cercando di riportare in sala gli spettatori fuggiti su altre piattaforme mediali, attraverso il 3D e i multiplex, anche The Artist partecipa al medesimo progetto, nobilitare il film in quanto tale e riportarne in luce gli elementi distintivi. Il muto e il 3D sono in verità alleati, e cercano di giocare con gli spettatori per tornare a credere in quello spettacolo popolare e collettivo che è il cinema.

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