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Un mondo maliziosamente nostalgico

Luci e ombre del mondo fantastico di J.J. Abrams.
di Roy Menarini

In foto Joel Courtney ed Elle Fanning in una scena del film Super 8.
Joel Courtney - Acquario. Interpreta Joe nel film di J.J. Abrams Super 8.

martedì 13 settembre 2011 - Approfondimenti

C’era una qualche malizia in coloro che hanno individuato la cosa migliore di Super 8 nel filmino dei giovani protagonisti proiettato a fianco dei titoli di coda. Come a dire che l’aspetto più fresco dell’opera cinefila di J.J. Abrams abita una porzione minore del film, quasi una sua nicchia nascosta. Il ragionamento, di per sé non disprezzabile, merita qualche riflessione e una messa a punto.
Non c’è dubbio che gran parte del fascino di Super 8 tradisca un aspetto derivativo. Fin dal logo della Amblin di Spielberg, affiancato a quello Bad Robot di Abrams, si ha la sensazione di trovarsi in un universo fusion tra i mondi narrativi del Re Mida degli anni Ottanta e quelli innovativi dell’ideatore di Lost. Con un netto sbilanciamento in favore del primo. È Abrams che omaggia l’universo di Spielberg, con una dedizione persino eccessiva, e cerca di trasportarne l’incanto nei propri territori consueti. Come sempre, ciò che preme ad Abrams, più che una strategia visiva, è l’aspetto linguistico/narrativo. Si ricordino, certo, le continue diacronie di Lost ma anche la straordinaria torsione temporale di Star Trek. Questa volta è il cinema nel cinema a intrigare il regista, tanto che il film girato dai suoi protagonisti – una pellicola sugli zombi – si intreccia con le loro avventure quotidiane, alle prese con un alieno. Il tutto è poi ambientato nel 1979, con chiare allusioni a quel periodo in cui il cinema hollywoodiano, abbandonati i sogni artistici di Coppola, Cimino e Altman, tornava a costruire un immaginario di massa, attraverso il genere fantastico e l’individuazione pubblicitaria di un pubblico famigliare di riferimento. Citazioni a parte (molte delle quali, ammettiamolo, assai scolastiche e prevedibili, come quelle musicali o i richiami a Romero), ritorniamo al paradosso iniziale. Perché a qualcuno è parso che quel filmino in super 8 fosse tanto più sincero e toccante del film? Azzardiamo una risposta: forse perché è lì che finalmente il racconto di J.J. Abrams smette di mimetizzarsi in un terreno nostalgico, abbandona la ricerca della sorgente di Goonies, E.T. e Corto circuito, e tocca all’improvviso le vere corde della pre-adolescenza, un atto di creatività che è anche un piccolo romanzo di formazione. Non è davvero un caso che l’altra scena più toccante di Super 8 sia quando Elle Fanning, caracollando come un morto vivente, si avvicina a Joel Courtney e gli lascia una traccia di sangue finto sul collo, emozionando come non mai il giovane innamorato. Una traccia di rosso, un filo di sangue che ricorda un po’ la tradizione vampira, un po’ la maturazione sessuale della giovane donna, un po’ la natura di finzione del cinema e la sua capacità di accendere all’improvviso il nostro desiderio di tornare ragazzini, con tutta la vita davanti e un’intera educazione sentimentale da sperimentare. Forse tra zombi e alieni, nel film di J.J. Abrams, bisognava lasciare maggior spazio ai primi, mostrando minor reverenza al maestro Spielberg e ai suoi anni Ottanta. Non sempre la nostalgia è un sentimento condivisibile.

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