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Matthew Modine, il cattocomunista

Il soldato Joker di Full Metal Jacket a Taormina per presentare il suo corto.
di Ilaria Ravarino

Matthew Modine a Taormina dove ha presentato il suo cortometraggio da regista Jesus was a Commie.
Matthew Modine (Mathhew Avery Modine) Altri nomi: (Matthew Avery Modine ) (65 anni) 22 marzo 1959, Loma Linda (California - USA) - Ariete. Regista del film Jesus was a Commie.

martedì 14 giugno 2011 - Incontri

Gesù è comunista, parola di Matthew Modine. Al TaorminaFilmFestival per presentare il suo cortometraggio da regista Jesus was a Commie, diretto a quattro mani con l’amico Terence Ziegler, l’attore californiano è stato uno degli ospiti più caldi e applauditi della kermesse siciliana. Affabile e appassionato, l’ex soldato Joker di Full Metal Jacket ha condotto una lezione di cinema (e di politica) che ha tenuto incollati ai sedili anche i ragazzi delle scuole, catechizzati per oltre un’ora dalla voce gentile dell’attore. Modine, che ha incontrato il pubblico subito dopo Oliver Stone, ha immediatamente raccolto la staffetta lasciata dal regista di JFK, bacchettando senza imbarazzo vizi e debolezze dell’americano contemporaneo: «Gli americani sono un popolo distratto, ignorante, superficiale. In Italia, nonostante il vostro Presidente del Consiglio, viaggiate su livelli più alti». Amato dai più grandi registi di Hollywood, lanciato da Altman che lo volle prima in Streamers e poi in America oggi, Modine da un decennio è anche regista: «Non mi importa se la gente per strada mi riconosce solo perché sono stato uno degli attori di Full Metal Jacket – ha detto, strappando l’applauso più lungo – vuol dire che ho fatto parte di un progetto che è rimasto nella storia, e ne sono orgoglioso».

Gesù è comunista. E Matthew Modine?
Non mi definirei comunista, anche se ho imparato a non aver paura di quella parola. Come molti americani sono cresciuto nella paranoia del comunismo. Da giovane girai un film a Berlino, con Diane Keaton e Mel Gibson: c’era ancora il muro, e io mi immaginavo che oltre il check point vivessero persone malvagie, con le corna e il forcone, perché questa era la mia idea della Russia. Poi però è successo qualcosa. Ho conosciuto alcuni soldati dell’Est, abbiamo fumato insieme qualche sigaretta, abbiamo parlato. Mi hanno raccontato delle loro famiglie, dei loro morti. E ho cominciato a rivedere il mio punto di vista.

Perché nel suo corto illustra la parola “comunismo” con i volti di Castro, Mao e Stalin?
Per illustrare il tipico pensiero di un americano. Questa è l’idea che circola: i comunisti sono tutti cattivi e hanno tutti quelle facce.

Descrive gli americani come un popolo di ignoranti.
Prendiamo un dato: solo il 14% degli americani ha il passaporto. Più si viaggia, più si conoscono le persone. Noi non ci muoviamo dal nostro paese. E ancora: il 44% degli americani crede che il mondo risalga a 3000 anni fa, come se prima di Alessandro Magno ci fossero i dinosauri. Quando Obama si è candidato si diceva fosse musulmano, e ancora oggi molti credono che non sia nato nemmeno negli Stati Uniti. E gran parte della colpa è della chiesa americana, che propaganda un’idea del mondo decisamente ristretta.

Se la prende con la chiesa o con la religione?
Me la prendo con il business. Levando di mezzo quello, le parole di Gesù sono straordinarie. Ho cercato di analizzarle nel mio corto: le idee raccolte nei Vangeli parlano di perdono, di responsabilità nei confronti degli altri. Tutte cose che non ricordiamo più. La gente si occupa di sciocchezze invece di pensare ai fatti più importanti, al bene comune. In America recentemente c’è stato un gran parlare di un tipo che si è fotografato il pene e ha postato questa cosa su Twitter. Ma chi se ne frega! Intanto in Giappone le scorie nucleari finivano nel Pacifico, nel mondo dilagava la crisi finanziaria... queste sono le cose su cui concentrarci, non le notizie sciocche. In America c’è come una specie di governo invisibile, stiamo tutti appresso a una specie di prestigiatore che distrae l’attenzione generale mentre le cose vere succedono altrove.

Dice nel corto che Gesù ha buon senso: cos’è per lei il buon senso?
Una volta un giornalista mi ha detto: «Diciamoci la verità, noi due guadagniamo bene: sul serio pensa che dovremmo aiutare gli altri?». Credo che questa sia la domanda più ignorante e meno di buon senso che mi abbiano mai fatto.

L’America è più chiusa dopo l’11 settembre?
David Lynch, il regista, osò fare pubblicamente delle domande sull’11 settembre e fu attaccato dalla stampa. Si difese così: «Non dico che il governo sia coinvolto negli attentati, mi chiedo solo perché non sia considerato un comportamento da americano fare domande su questo». Ormai non si può più sapere nulla degli affari del Governo, non si può nemmeno chiedere. Avete visto cosa succede alla security degli aeroporti americani? Le persone sono aggressive, gli addetti alla sicurezza sono belligeranti, è come se difendessero una prigione. Trattano la gente come bestiame. L’11 settembre ha tolto talmente tanti diritti civili di base, che in America esiste persino questa situazione: una piccola comunità il cui governo locale ha imposto a tutti di consegnare le chiavi di casa, per permettere controlli periodici nelle case dei cittadini. E il fatto straordinario è che quei cittadini sono d’accordo!

Dell’Italia cosa pensa?
Credo che sia preoccupante il fatto che il vostro Presidente del Consiglio possieda tutte quelle televisioni e spero che adesso non mi mandi addosso uno dei suoi soldati perché l’ho detto. In ogni caso in Italia non trovo la stessa ignoranza che c’è in America. La cultura vi salva.

Come ha cominciato la sua carriera?
Quando sono arrivato a New York volevo fare l’attore perché ero innamorato dei film che vedevo nel drive in che gestiva mio padre. A New York lavoravo come cuoco in cucina e ascoltavo i camerieri, che erano tutti attori: mi sono reso conto così di non avere alcuna base per quel mestiere, e ho cominciato a frequentare dei corsi veri.

Com’è stata l’esperienza in Full metal jaket?
È stata una delle esperienze più importanti della mia vita, durata due anni. Sono orgoglioso di essere stato parte di un film che mi ha cambiato la vita per sempre. Con Kubrick è finita un’era, con Terrence Malick forse ne è iniziata un’altra. Una volta sono andato a Cannes, era il cinquantenario del Festival, e in quell’occasione chiamarono tutti i vincitori della Palma sul palco. Quando li ho visti là, tutti insieme, mi è venuta voglia di ringraziarli uno per uno. Sono persone che mi hanno reso più consapevole, anche dei miei cattivi comportamenti. Hanno cambiato il mio modo di pensare.

È vero che per lavorare con Kubrick perse l’opportunità di fare un film in Italia?
Sì, avevo incontrato i fratelli Taviani. Dissi loro che dovevo finire le riprese con Kubrick, mancavano solo due settimane e loro si offrirono di aspettarmi. Hanno fatto in tempo a finire le riprese del loro film, e noi eravamo ancora allo stesso punto. Ovviamente non è una critica a Kubrick: a Michelangelo non chiederesti mai quanto tempo ci vuole per finire la Cappella Sistina. Se a Kubrick servivano due anni per finire un film, vuol dire che quello era il suo processo creativo. La misurazione del tempo è inappropriato per un artista.

Era con Oliver Stone in Ogni maledetta domenica: che ricordo ha di lui?
Una persona interessante. È uno che ti ascolta, e quando gli racconti un soggetto si sforza di capire la storia dietro la storia, l’opinione di chi parla. Un esercizio critico esemplare.

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