Titolo originale | Hei yanquan |
Anno | 2006 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Taiwan, Francia, Austria, Malesia, Cina |
Durata | 115 minuti |
Regia di | Tsai Ming-liang |
Attori | Chen Shiang-Chyi, Lee Kang-Sheng, Atun Norman, Pearlly Chua . |
Tag | Da vedere 2006 |
Distribuzione | MYMOVIESLIVE! |
MYmonetro | 3,02 su 10 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 14 settembre 2015
Hsiao-Kang, cameriera in un bar, ritrova Shiang-chyi durante una carestia che paralizza la Malesia.
CONSIGLIATO SÌ
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Cantore della solitudine urbana, con I don't want to sleep alone, Tsai Ming-Liang costruisce un'opera densa e inquietante.
Girato a Kuala Lumpur, in Malesia, paese d'origine del regista, il film segue le traiettorie dei suoi personaggi: un senza tetto cinese pestato a sangue, ospitato da un lavoratore del Bangladesh, e una cameriera di un coffee shop. Privati di qualsiasi caratterizzazione psicologica, i protagonisti si muovono in uno spazio urbano indefinito e sospeso, lasciandosi trascinare in un'esistenza anonima e incolore, ribelli donchisciotteschi di una società postmoderna, malsana e contaminata: il loro grido è muto e disperato, almeno quanto lo sono gli spazi nei quali si muovono.
La colonna sonora, un omaggio al Flauto magico mozartiano e al chapliniano Luci della ribalta, punteggia lo scorrere del tempo, le situazioni e le reazioni dei protagonisti.
Anche se è diverso il contesto urbano, per certe atmosfere il film rimanda alla poetica di The Hole - Il buco, evitando, tuttavia, la maniera.
Ancora una volta il tocco dell'autore si fa sentire, a conferma di un talento non comune che coglie i malesseri di una società contemporanea, per restituirli in un racconto in bilico tra la crudezza del realismo e il lirismo surreale.
Il cinema di questi anni è diventato piatto. In senso sia letterale che metaforico. Letterale: puntando non tanto al grande schermo ma ai soldi che vengono dai diritti televisivi si è adeguato al linguaggio con immagini di dettagli, primi piani, tutto pensato per essere visto in piccole dimensioni. Addio allora ai campi lunghi, alla profondità delle immagini, insomma alle inquadrature che hanno fatto [...] Vai alla recensione »
A differenza di altri film, che hanno mosso il pubblico della stampa alla ridicola pratica dell'applausometro, I don't want to sleep alone di Tsai Ming Liang (in Concorso) si è accomiatato dal suo pubblico con il silenzio in cui l'ha lasciato, spia di un raccoglimento riflessivo per un cinema che si sottrae, per sua natura e intelligenza, a qualsiasi esternazione plateale.
Non voglio dormire da solo è il nono film diretto da Tsai Ming-Liang (Viva l'amore, Il buco, Il gusto dell'anguria), il suo primo girato in Malesia a Kuala Lampur, in un edificio incompiuto divenuto rifugio dei senzatetto. La città è piena di lavoratori immigrati, chiamati dal governo per completare grandi progetti di costruzioni poi abbandonati per la crisi economica asiatica, rimasti senza lavoro, [...] Vai alla recensione »
Taiwanese New Wave sensation Tsai Ming-liang’s first feature in his native Malaysia is his most demanding film since The River (1997)—and if you don’t know what any of that means, I Don’t Want to Sleep Alone won’t be the most accessible introduction. At least at the outset, Tsai, who shoots almost exclusively in static long takes, directs the viewer’s eye even less than usual.
After the gleeful vulgarities of The Wayward Cloud (see the review on p66), Taiwan-based director Tsai Ming-liang is back on track with this follow-up. Shooting for the first time in his native Malaysia, he does for Kuala Lumpur what he usually does for Taipei, fashioning it into a dreamlike, shifting world of misty corridors and half-finished buildings.
This is a perplexing modern fairy-tale, in which a handsome prince fails to wake from his slumbers while his vengeful mother seeks to prevent the Cinderella she exploits at her coffee shop from finding happiness with her son’s homeless doppelgänger. With its water and smog imagery, this virtually wordless saga is visually striking. But, by having Lee Kang-Sheng play both men in waitress Shiang-Chyi’s [...] Vai alla recensione »
Sconcertante e lirico, con i suoi tempi circolari, le inquadrature composte, i personaggi alla deriva e i malesseri fisiologici, Tsai Ming-liang, re dei film «da festival», ha presentato un'opera di ellittica purezza, di cinema «nuovo», accolta con ammirazione, con imbarazzo, in qualche caso con ostentato rifiuto. Come succede nei film di Tsai, prevalgono situazioni invece che azioni e storie.
Da Taiwan ci è arrivato ieri uno dei registi più noti di quel paese, Tsai Ming-Liang, vincitore di un Leone d'oro con un suo film del '94, Vive L'amour; accolto con simpatia da noi critici, più di recente, per Il fiume, The Hole-Il buco e Che ora è laggiù, e premiato a Berlino nel 2004 per Il gusto dell'anguria che, invece, molti meriti proprio non li aveva.
Ci sono i film da Festival del cinema, come ci sono le canzoni da Festival di Sanremo: gli uni e le altre piacciono agli appassionati del ramo, ma innervosiscono i non specialisti. Nel caso del film di questa fiorente cine-categoria, se vengono dall'Asia sono ancora più venerati, se poi il loro regista è Tsai Ming-Liang, bisogna stare attenti a non fare brutte figure: si tratta certamente di capolavori [...] Vai alla recensione »