Lee Kang Sheng stavolta non è a Taipei, ma a Kuala Lumpur (luogo di nascita di Tsai Ming Liang). In un’atmosfera multietnica ma uniformemente derelitta, il protagonista di tutte le opere del regista, doppiamente muto per ruolo e per incomprensione della lingua, riesce presto a farsi picchiare quasi a morte. Trasportato da un altro ragazzo in casa sua, assisteremo alla sua progressiva ripresa. Parallelamente seguiamo la storia di due donne (una è Chen Siang Chiy, protagonista in Che ora è laggiù ed Il gusto dell’anguria) che accudiscono un uomo in coma, anch’esso interpretato da Lee Kang Sheng. Il primo Lee Kang Sheng, ripresosi, sarà oggetto dell’amore o del desiderio degli altri personaggi.
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Lee Kang Sheng stavolta non è a Taipei, ma a Kuala Lumpur (luogo di nascita di Tsai Ming Liang). In un’atmosfera multietnica ma uniformemente derelitta, il protagonista di tutte le opere del regista, doppiamente muto per ruolo e per incomprensione della lingua, riesce presto a farsi picchiare quasi a morte. Trasportato da un altro ragazzo in casa sua, assisteremo alla sua progressiva ripresa. Parallelamente seguiamo la storia di due donne (una è Chen Siang Chiy, protagonista in Che ora è laggiù ed Il gusto dell’anguria) che accudiscono un uomo in coma, anch’esso interpretato da Lee Kang Sheng. Il primo Lee Kang Sheng, ripresosi, sarà oggetto dell’amore o del desiderio degli altri personaggi.
L’elemento narrativo è ancora più atrofico del solito. Quello di Tsai è sì un cinema d’immagini, ma privo di estetismo fine a se stesso. Se il cinema vuole cercare un’espressione differente dalla trasposizione del racconto ottocentesco, questa è probabilmente una delle possibilità meglio sviluppate. Le immagini costruiscono uno stato d’animo, un messaggio che si stratifica silenziosamente nello spettatore, scena dopo scena, ed alla fine più che d’interpretare il film, hai bisogno di interpretare te stesso, cercando cosa abbia mosso, e scosso, in maniera così sotterranea, adoperando finalmente un linguaggio più vicino alla sensazione che allo spettacolo. Protagonista è l’opera nella sua interezza, nei suoi dettagli, oggetto vivente, come precedentemente espresso con la sala cinematigrafica di Goodbye Dragon Inn.
L’inedita ambientazione malese lascia tracce esclusivamente nell’estetica degli interni, non essendo presente alcuna panoramica della città. Anche le poche scene in esterni sono in realtà rinchiuse all’interno di vicoli opprimenti. All’esplosione moderna ed asettica di Taiwan si sostituiscono case popolari e sovraffollate, ed enormi, cadenti edifici abbandonati, che fanno da teatro e da rifugio.
Ancora presenti le caratteristiche inquadrature con profondità di campo, dove la scena si svolge orizzontalmente su più piani contemporaneamente visibili, in una sorta di montaggio interno, oppure verticalizzazioni dall’esterno di un edificio, dove si mostra, attraverso le finestre, l’azione all’interno di una stanza e contemporaneamente nel soppalco sovrastante la stessa; le inquadrature incorniciate dalle porte si fanno ancora più claustrofobiche, l’azione è spesso seguita indulgendo su di uno spazio vuoto, ricorrendo ad un gioco di specchi. Una macchina da presa che spia, in maniera né morbosa né asettica, ma con la passione che è propria del regista.
Il doppio ruolo di Lee Kang Sheng amplifica il lavoro sul corpo dell’attore, iniziato quindici anni fa, lavoro che il regista riconosce come la sua “maggiore sperimentazione”. Il corpo malato ed accudito su un materasso circondato e protetto da un velo trasparente, rigenerato in un’incubatrice, preludio dell’ultima scena in cui i tre protagonisti, dormienti, si troveranno a galleggiare sullo stesso materasso all’interno di un grande, avvolgente edificio allagato, amniotico ed uterino.
Come ne Il Fiume la malattia è uno dei temi centrali, ma qui c’è più spazio per la cura. E la malattia individuale diventa malattia collettiva, quando la città è invasa dal fumo di un incendio lontano (come la pioggia incessante di The Hole, come come la siccità de Il Gusto dell’Anguria), che costringe tutti a ripararsi con mascherine improvvisate, rendendo ciascuno alieno e soffocante ogni azione.
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