Shining

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Un film di Stanley Kubrick. Con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers.
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Titolo originale The Shining. Horror, Ratings: Kids+16, durata 116 min. - USA 1980. - Lucky Red uscita lunedì 7 ottobre 2024. - VM 14 - MYMONETRO Shining * * * * - valutazione media: 4,27 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un'altra promessa d'immortalità (dopo "2001")? Valutazione 5 stelle su cinque

di Paolo 67


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martedì 29 novembre 2011

Dopo l'insuccesso di "Barry Lyndon" ("Possibile che la Warner Bros sia così stupida da non capire la lezione e lasciar fare a Kubrick questo film?" -scrisse "Variety"-) e secono alcuni invidioso del successo de "L'esorcista" (che era stato in predicato di dirigere), Kubrick si accinse, nel suo stile di visitazione dei generi, alla riduzione del romanzo horror di Stephen King, che in realtà stravolse perchè adottato in virtù unicamente del soggetto, che si prestava alle risonanze metafisiche che legano in fortissima unità questo capolavoro, superato forse per audacia tecnico-stilistica solo da "Eyes Wide Shut", a tutta la produzione kubrickiana. Come Antonioni in "Blow up", Kubrick si interroga sulla soggettività della percezione del reale e sulla demarcazione tra realtà e immaginazione, e usa la macchina da presa come un terzo occhio (al quale in qualche modo allude il nome dell'hotel), spingendo la tecnica fino a far sospettare quello che si potrebbe celare dietro le apparenze (l'uso della steadycam col grandangolo sembra suggerire un tunnel spazio-temporale). Le apparizioni dei fantasmi, in piena luce (come risultano dai racconti delle visioni) sembrano venire da una stratificazione del tempo nello spazio. Il sangue che esce dalle porte dell'ascensore, come il monolito in "2001" rimanda a un'ordine superiore. Molto genialmente Kubrick sfrutta l'istrionismo di Jack Nicholson per rendere il senso di una possessione (diabolica?), come una marionetta mossa da fili invisibili retti da entità inconoscibili. L'antagonismo della coppia, sempre presente nei film di Kubrick (anche quando è risolto positivamente come in "Eyes wide shut") è rappresentato qui in senso negativo e distruttivo: è sufficiente che il protagonista arrivi preparato psicologicamente all'hotel, coi sentimenti negativi verso la moglie e il figlio: i suoi istinti rimossi, non più sublimati nel lavoro di scrittore (egli ha un inquietante sogno premonitore) entreranno in risonanza con quanto rinchiuso da sempre e per sempre nell'hotel, rappresentato dal quadro finale, fotogramma fisso (così come i fantasmi hanno qualcosa di fotografico, di cartaceo: le gemelline, apparizione che comunica una emozione metafisica da far rizzare i capelli, sovrannaturale, inquietante con qualcosa di scandaloso, sono riprese fedelmente da una celebre fotografia). Nell'ultima sequenza, ripetuta decine di volte e mai riuscita perfettamente, tra l'altro sottolineata da una canzone in cui Kubrick indovina una sconcertante rappresentatività ultratombale insieme a una beffarda ironia, il regista ha voluto rappresentare la compresenza dei tempi e degli spazi, raggelati nell'istante della fotografia (che si scioglie nel cinema, illusione dovuta alla successione di fotogrammi). Jack in quel ritratto è l'espressione di un eterno ritorno: una delle possibili apparizioni terrene del superuomo nietzschiano, al negativo (come l'Alex di "Arancia meccanica": "Non c'è dubbio che i buoni e i giusti chiamerebbero diavolo il superuomo"). Danny, invece, ne sarebbe la realizzazione positiva, il bambino-luce (quello del finale di "2001") che dona la virtù e redime. A sostegno di questa ipotesi sarebbe il manifesto originale del film disegnato da Saul Bass (il più grande autore di titoli di testa della storia del cinema) che raffigura gli occhi sbarrati del bambino molto simili a quelli del feto astrale in uno dei manifesti di "2001". Lo "shining" del bambino, a differenza della schizofrenia di Jack, dato nefasto di cultura, ambizioni fallite e frustrazioni accumulate, è, come quello del nero, vicinanza al mondo magico della fase dell'uomo primitivo antecedente alla civiltà, alla storia e alla cultura (cui comunque appartiene il nero adulto, e per ciò vittima sacrificale). Creandosi un amico immaginario, giocando, Danny razionalizza le proprie visioni mentre il padre preda dell'irrazionalità regredisce nel ritorno del rimosso. Nel labirinto (luogo mitico e simbolico), ove si svolge il conflitto tra la vita e la morte, tra Teseo eroe solare e il Minotauro l'intelligenza del bambino (Pollicino) vince sull'istinto, sul'essere bruto ormai incarnato da Jack. I numerosi errori di continuità del film sono evidentemente intenzionali per perturbare lo spettatore nei suoi normali punti di riferimento e dargli il senso di uno stravolgimento delle coordinate spazio-temporali. La luce è usata in funzione espressiva per dare il senso di una opprimente claustrofobia, della mancanza dell'aria aperta e di una porta spalancata sul lato oscuro della psiche, sul mistero del male insito nella natura umana (Kubrick ebbe a dire addirittura: "Non ci si deve meravigliare del male, ma semmai del bene"). Ma Kubrick considerava "Shining" un film ottimista: "In fondo parla di fantasmi: se esistono, allora c'è qualcosa oltre l'oblio che ci attende dopo la tomba". Il montaggio sembra avvalorare la tesi di super-poteri del bambino (nella scena in cui il padre incontra la morte altra faccia di Eros, Danny si vendicherebbe delle trascuratezze del padre, che gli aveva anche slogato la spalla una volta -l'atto edipico del padre precede quello del bambino- in un accesso d'ira). Ma al di là delle interpretazioni filosofiche, la straordinaria lavorazione formale, così come avviene nelle grandi opere d'arte, è la ragione della grandezza di questo film (come di tutta l'opera kubrickiana). Kubrick è un autore nella grande tradizione dei Mèlies e dei Griffith, che creavano spettacoli meravigliosi e insieme sperimentavano, portando avanti il cinema. La rievocazione dei "ruggenti" anni '20, propria anche della fotografia finale del film, nel momento della massima floridezza e spensieratezza della nazione americana (che precedette il crack economico) nell'anniversario della sua rivoluzione (che rappresenta anche la sconfitta dell'autorità, dunque riproponendo il dramma edipico a livello storico), è un momento di cinema stupefacente che esprime anche quella nota nostalgica, che l'ironia non cancella, cara a Kubrick e presente in tutti i suoi film, che egli ha cercato qui come sempre di mettere in equilibrio con tutti gli elementi nell'universo centripeto di un film, o magari, da vecchio fotografo, di una fotografia. 



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