Scardinando un romanzo di Stephen King con la complicita' della co-sceneggiatrice Diane Johnson (che ne scandisce i tempi con raggelante perfidia romanzesca attraverso una scansione temporale in sette atti: "Il colloquio/Chiusura invernale/Un mese dopo/Lunedi'/Martedi'/Sabato/Ore 16") Kubrick realizza il suo film piu' perverso, luciferino e ossessivo nella sua continua ricerca del disagio, dell'inquietudine, dello smarrimento psico-emotivo che si cela dietro una maschera d'artista fallito. Stroncato dalla critica, bocciato dal pubblico, ripudiato dallo stesso King che non ne aveva mai approvato l'adattamento a tal punto da accusare a posteriori il regista di aver palesemente scopiazzato il finale di un episodio de "Ai confini della realta'" per la (bellissima) sequenza finale nel labirinto (anche se lo stesso Kubrick replico' da par suo vantandosi del fatto che nel suo film a differenza del libro, dove effettivamente non moriva nessuno, almeno un morto ci fosse prima della fine) smontato e rimontato per l'europa con anesso castraggio da macellaio di 20 minuti circa che ne compromette l'antefatto (l'alcolismo di Nicholson e' quasi del tutto scomparso) "Shining" e' il capolavoro assoluto dell'horror per antonomasia con la sua schizofrenia, l'ambivalenza sessuale, il doppio, il delirio, l'ambiguita', l'omosessualita' latente del protagonista (ben piu' esplicita nel romanzo) la claustrofobia, la maniacalita' ossessivo-compulsiva delle azioni e la sua costante ricerca verso l'ignoto che fa di "Shining" quasi un film fantascientifico sulla falsariga di "2001: odissea nello spazio" (1968) scatenando anch'egli inquietanti pessimistici interrogativi: che fine fa Jack Nicholson alla fine del film? E' veramente morto? O si trova ora in un' dimensione parallela senza tempo?
Come lo fu "Psycho" (1960) per Anthony Perkins anche Nicholson dopo "Qualcuno volo' sul nido del cuculo" (1975) e "Shining" fini' con l' essere etichettato come "pazzo maniaco" a tal punto che col senno di poi la sua interpretazione non sembri tanto il frutto di un lavoro meticoloso e studiato a tavolino quanto di un'agghiacciante autentica genuina spontaneita' tale da farci gelare il sangue nelle vene. Insomma, inutile girarci intorno, Nicholson e' "Shining" e "Shining" e' di Jack Nicholson ancor prima che di Kubrick. In tal senso diciamo anche che lo stesso King avrebbe preferito di gran lunga che la parte venisse affidata o a Jon Voight o a Michael Moriarty (a suo dire piu' "normali") scartando a priori l'idea Nicholson dopo averlo visto in "Qualcuno volo sul nido del cuculo" poiche' non lo riteneva adatto ad interpretare un padre di famiglia che scende via via nella follia "penseranno subito che il film tratti di un pazzo" avrebbe sbottato indignato.
Fortuna che non l'hanno ascoltato. "Shining" e' perfetto cosi' com'e' (anche se a onor del vero Nicholson sembra gia' "fuori" dopo meno di un minuto) e ancora c'e' da chiedersi con quale faccia gli abbiano appioppato due nomination ai Razzie Awards: peggior regia (!!!!!) e peggior attrice protagonista (la minuta Shelley Duvall che tra contrasti con il regista e crisi di nervi riusci' pure a finire all'ospedale durante le riprese e in terapia alla fine).
Con un omonimo remake televisivo (1997) voluto dallo stesso King suggestivo quanto basta, fedelissimo al romanzo (di fatto solo per quello fu fatto) ma nemmeno lontanamente paragonabile a questa pietra miliare che ancora oggi, a quasi trent’anni dalla sua uscita nelle sale, fa ancora il suo porco effetto. E scusate se e’ poco.
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