Shining |
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Un film di Stanley Kubrick.
Con Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers.
continua»
Titolo originale The Shining.
Eventi,
Ratings: Kids+16,
durata 116 min.
- USA 1980.
- Lucky Red
- VM 14 -
MYMONETRO
Shining
valutazione media:
4,27
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Le bambine ci guardanodi angelino67Feedback: 1000 | altri commenti e recensioni di angelino67 |
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martedì 3 maggio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un film coerente con il discorso del regista, tratto da un romanzo di chi la pensa in modo assolutamente diverso da lui. Kubrick riteneva che il grande pregio del romanzo di Stephen King - che non riteneva un'opera letteraria seria - fosse il soggetto, perché possedeva un eccezionale equilibrio tra l'elemento psicologico e quello soprannaturale. Egli ha costruito la sceneggiatura insieme a Diane Johnson in modo che il soprannaturale prendesse il sopravvento solo in un momento avanzato, con lo spettatore calato nella vicenda. A parte King, per il quale Kubrick era “una persona che pensa troppo e sente troppo poco”, non tutti anche tra gli estimatori del regista sono convinti che il egli sia riuscito a realizzare questo equilibrio, attratto da temi diversi (la stessa critica di mancanza di organicità che alcuni hanno rivolto a Eyes Side Shut). Molti non capiscono cosa Kubrick avesse realmente da dire, o se avesse realmente da dire qualcosa, o forse aveva troppo da dire. Il suo metodo lo portava a una ossessione di controllo totale, ma alla fine il film gli sfuggiva, ed è proprio la impossibilità umana della perfezione a sottrare il controllo definitivo al regista per cui, alle estreme conseguenze i suoi film cessano di essere diretti da lui per esserlo da quello che lui non può controllare, ma che lui controlla. In altre parole, un film di Kubrick potrebbe benissimo essere diretto dagli alieni, dai fantasmi, da Dio o da Satana, o da - per usare le sue parole sulla possibile ultima tappa dell'evoluzione - una coscienza immortale che esiste in ogni luogo dell'universo (possibile definizione scientifica della divinità). In questa opera centripeta Kubrick procede per condensazione, raccontando l'impossibilità e forse l'insensatezza di una definizione oggettiva della realtà. Come aveva mostrato in 2001 alla fine della sua ricerca (della ricerca propria della verifica umana) l'uomo incontra solo se stesso. La realtà esiste nella sua mente: in Shining più che mai Kubrick raffigura il mondo come cervello, come inconscio. Ma non è solo insensata (o meglio impensabile) una realtà fuori dall'uomo: in Shining è la ricerca stessa della realtà umana a essere nel segno della impossibilità e della insensatezza. In una epoca altamente tecnologizzata, anche qui ribadendo 2001, Kubrick mostra, usando al limite la tecnologia, che di fronte al mistero l'uomo ha fatto ben pochi progressi rispetto alle scimmie (se li ha fatti). Naturalmente il film ammette molte letture tutte giuste, tutte legittime, tutte importanti, sia evidenti che criptiche, forse anche volutamente; familiari, storiche, antropologiche ecc. Ribadisce le ossessioni di Kubrick come la follia, il ruolo del male; esprime in maniera simbolica, ma più chiaramente che in 2001, un ordine superiore e restituisce al cinematografo quella magia (che Kubrick dichiarava di voler cercare) che costituisce la sua caratteristica più importante. Alcuni registi giravano i loro film fregandosene del pubblico ma non era il caso di Kubrick. Per lui, il film, anche se difficile doveva piacere al pubblico, era esso la vera reputazione dell'opera. Nella critica, Kubrick ha suscitato reazioni le più contrastanti, come nel pubblico. Alcuni colleghi e attori si meravigliavano che non fosse considerato il numero uno (non ha mai vinto l'Oscar come regista). Alcuni, pur riconoscendone un inconfondibile originale fascino, non riescono ad amare i suoi film, la sua luce; percepiscono disagio, non li sopportano. Kubrick era estraneo alle mode. È quel tipo di artista che potrebbe essere trascurato per secoli e poi essere riconosciuto il più grande. È quel tipo di artista che in qualunque epoca storica potrebbe essere riconosciuto grande. Egli era talmente attento all'economia complessiva dell'opera da sacrificare scene straordinarie se non perfettamente in tono o per aumentare l'efficacia del film, anche a discapito della comprensione. Raramente il cinema ha avuto l'impatto, l'implacabilita, la densità, il senso definitivo e totale, diciamo pure mortuario, dei suoi film. Il grande Jack Nicholson é straordinario per come rende l'ambiguità del personaggio, sottolineata nel magnifico doppiaggio di Giannini diretto da Mario Maldesi, con i quali si é complimentato Kubrick, per il quale Maldesi " ha reso la post-sincronizzazione degli attori una forma d'arte." Il suo ruolo infatti deve poter permettere, prima dell'imprevedibile finale, interpretazioni diverse come la psicopatia, la possessione diabolica, o l'orco cattivo delle fiabe. Uno dei motivi di fondo del dissenso con Stephen King é che Jack arriva all'albergo psicologicamente preparato a uccidere: un alcolista violento in crisi di astinenza, amareggiato dai fallimenti professionali, che disprezza la moglie e soprattutto odia suo figlio, di cui ha abusato in un modo e forse anche in un altro, come probabilmente é accaduto a lui. Rispetto alla malvagità del luogo come in King, Kubrick sposta la riflessione sulla natura umana e i rapporti familiari, su quanto c'è di profondo e congenito nell'uomo di male - cosa che spiega perchè certi personaggi come i serial killer siano una specie di mito -. Kubrick é impietoso (efficacemente, ad esempio con grandangolari nei primi piani per renderla ancora più eccentrica) con Shelley Duvall, che pure interpreta un personaggio buono e innocuo, inoffensivo (anche se, ironia della sorte, costretto alla mazza e al coltello per difendersi dal marito assassino) ma si é opposto al proposito della cosceneggiatrice Diane Johnson di far morire Danny, realizzando così un relativo lieto fine prima dell'ultima tessera del puzzle di un enigma che rilancia un mistero che non si chiarisce (come sempre in Kubrick) alla fine del film.
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