Titolo originale | Guy |
Anno | 2018 |
Genere | Commedia |
Produzione | Francia |
Durata | 101 minuti |
Regia di | Alex Lutz |
Attori | Alex Lutz, Tom Dingler, Pascale Arbillot, Brigitte Roüan, Dani Andy Picci, Nicole Calfan, Stéphan Wojtowicz, Sarah Suco, Élodie Bouchez, Marina Hands, Julie Arnold, Patrick de Valette, Vincent Heden, Bruno Sanches, Anne Marivin, Nicole Ferroni, Cécile Rebboah, Marie Berto, David Salles, Michel Albertini, François Nambot, Camille Favre-Bulle, Alyssa Landry, Gaëtan Borg, Vincent Blanchard, Romain Greffe, Greg Fugen, Loïc Ropars, André Garry, Blandine Chamoion, Eric Lefebvre, Jérôme Bulan Wapner, Catherine Hosmalin, Alessandra Sublet, Julien Clerc, Michel Drucker, Frédéric Matona. |
Tag | Da vedere 2018 |
MYmonetro | 3,29 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 23 gennaio 2019
Un giornalista scopre che suo padre è un uomo di spettacolo e decide di andare a conoscerlo per fare un documentario su di lui. Il film ha ottenuto 6 candidature e vinto 2 Cesar,
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CONSIGLIATO SÌ
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Conoscete Guy Jamet? Certamente no, perché esiste solo nell'immaginario di Alex Lutz. Questo crooner popolare, il cui registro si situa da qualche parte tra Michel Sardou e Claude François, è al crepuscolo della sua vita. Gauthier, giornalista e figlio illegittimo di cui Guy non sospetta l'esistenza, ha impugnato la camera per approcciarlo e conoscerlo. Qualche volta misogino, sovente bisbetico, l'ex-vedette, che ha conosciuto la gloria tra gli anni Sessanta e Settanta, confessa i suoi piccoli segreti, sgrana i ricordi con animosità e sogna il comeback.
Per interpretare il suo personaggio di vecchio chanteur dall'umore variabile, che si vanta di non aver perso ancora i capelli, Alex Lutz si è sottoposto ogni giorno a cinque ore di trucco, passaggio obbligato e sovente fallimentare della performance trasformista.
Ma Lutz, umorista francese, riesce dove altri hanno fallito grazie soprattutto alla credibilità della sua interpretazione, che perfeziona (ri)costruendo minuziosamente lo stile musicale del suo eroe.
Al cuore di un falso documentario malinconico e spassoso, l'artista scivola nella pelle di un cantante démodé, di cui l'autenticità è tale che giureremmo di avere un suo disco conservato da qualche parte in soffitta o di averne ascoltato almeno uno in una sera d'estate. Perché Guy Jamet canta l'amore, quello stucchevole ("Dadidou"), e non se ne vergogna, e probabilmente morirà cantando il suo disco d'oro dei Seventies, un'autentica hit fabbricata su misura da Alex Lutz e i suoi collaboratori, i compositori Vincent Blanchard e Romain Greffe.
Biopic creativo e melodico, Guy avanza alternando al presente le immagini d'archivio, che rimandano alle ore gloriose del cantante. Le clip di ieri e i concerti in provincia di oggi sospendono il film e lo spettatore in bilico tra i due, tra il Guy che fu e quello che rimane, tra franchezza e segreti, tra capricci e sincerità.
Il film si nutre di questo andare e tornare costante e dalla risacca muove la tristezza vaga che gli dona tutta la sua sostanza, suscitando sorrisi e lacrime, toccando il cuore come quello dei fan irriducibili che cantano a memoria le sue canzoni.
Istrione virtuoso, l'attore-autore produce una performance sbalorditiva che trascende lo schema vincolante e annunciato del suo dispositivo. La risorsa drammatica (la filiazione illegittima) non verrà risolta, il cinismo, destinato a prendersi gioco di istrioni âgé divorati dalla pretesa di volere brillare ancora e sempre, non verrà cavalcato. Lutz resta sobrio ed elegante davanti al suo artista dismesso che, cosciente della fine della sua carriera, non si risparmia nessuna cattiveria. In fondo ai gala, alle cene post concerto, ai viaggi in automobile, alle cavalcate in Provenza, non resta che la malinconia e l'omaggio a questa vita da saltimbanchi assediati ma sempre soli.
Incapace di lasciare andare la celebrità che fu, Guy Jamet è il doppio che permette ad Alex Lutz di scongiurare col tempo che passa, la paura di invecchiare. Perché dietro al trucco e ai cliché ad alto rischio patetismo di Guy, c'è Alex Lutz, one-man-show quarantenne, che conosce la strada, le sale delle feste e la moquette sui muri.
la visione di lui costantemente a bocca spalancata ha reso la visione di questo bel film quasi impossibile. Qualcuno sa comprendere il senso di questa rivoltante scelta?