Spike Lee (Shelton Jackson Lee) è un attore statunitense, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, montatore, è nato il 20 marzo 1957 ad Atlanta, Georgia (USA). Spike Lee ha oggi 67 anni ed è del segno zodiacale Pesci.
Figlio di in musicista jazz, cresciuto a Brooklyn, è il regista di colore più noto del cinema americano. Con uno stile personale, sospeso tra il sarcastico e il drammatico e spesso in polemica con lo show-businness ufficiale, ha scelto le problemtaiche che conflitto razziale come punto focale della sua produzione. Ha iniziato giovanissimo, ancora studente all'università di New York, realizzando due film Joe's Bed-Stuy Barbershop e We Cut Heads. I suoi inizi, seppure già mostravano idee innovative, passarono inosservati, ma già con Lola Darling (1983) e Classi turbolente (1988) attrasse l'attenzione della critica. Con il durissimo Fa' la cosa giusta (1989), sui temi razziali, ottiene la nomination come miglior film e viene apprezzato per l'originalità tecnica e l'ispirazione nel trattare il difficile tema. Seguono film che fanno moltissimo discutere come il musical Mo' Better Blues (1990), l'intenso Jungle Fever (1991), storia dell'amore impossibile tra un nero e un'italo-americana, e soprattutto Malcolm X (1992), vera e propria saga che narra, con stile documentario, sulla tragica vicenda del leader delle Black's Panthers ucciso a New York nel 1965. Le critiche al mondo hollywoodiano sui trattamenti che riserva agli artisti "neri" gli costano la nomination all'oscar come miglior regista per Malcolm X. Seguono Crooklyn (1994), rivisitazione a tutto campo degli anni settanta; Clockers (1995), denuncia del traffico di droga che distrugge la vita nei ghetti neri e Girl 6-Sesso in linea (1996), commedia spiritosa e amena. Con Get on the Bus (1996), He Got Game (1998) e L'estate di Sam (1999) è tornato più esplicitamente ai temi politico-sociali. Adesso si sta dedicando alla stesura di un libro sul basket, che include anche la biografia del giocatore Knicks, suo mito fin da ragazzo. Tra le sue molteplici attività sono da ricordare anche i video realizzati per Michael Jackson, Chaka Kahn, Naughty by Nature, Arrested Development, Stevie Wonder, Anita Baker e Miles Davis.
Berretto, giubbetto, braccialetto scaramantico o prezioso, maglia universitaria, Nike Special rosse, jeans: Spike Lee, talento nero, a 49 anni veste come un ragazzo del secolo scorso. Non potrebbe avere invece una bravura più giovane e contemporanea. Si vede nell’episodio che ha diretto per il film collettivo All The invisible Children: una bambina newyorkese infettata di Aids dai genitori tossici e alcolizzati. Si vede in The Inside Man, un giallo perfetto che esce a metà aprile (cosa sarà accaduto di noi alle elezioni politiche?), una storia narrativamente e formalmente straordinaria con Jodie Foster, Wiliem Dafoe, Denzel Washington (è uno degli attori neri scoperti e lanciati dal regista, gli altri sono Samuel L. Jackson, Lawrence Fishburne).
Spike Lee è un regista eccezionalmente bravo, ardito, fertile, autore tra il 1986 (debutto con Lola Darling) e il 2003 (Lei mi odia) di 14 film molto belli, portatore di uno stile che ha avuto forte influenza sul linguaggio audiovisivo contemporaneo (spot, video musicali, film): jump cut, velocità di montaggio, iperrealismo, musica dei Public Enemy, colori squillanti, punti di visione inediti, capacità di alzare la temperatura emotiva del racconto, un gran caleidoscopio di immagini e suoni. Questo, formalmente. Sostanzialmente, Spike Lee ha introdotto tre caratteristiche: si è battuto attraverso i film per convincere i neri ad abbandonare vite alcoliche, delinquenziali, inerti e tossiche nutrite dai sussidi di disoccupazione per prospettare loro esistenze diverse, per difenderli dal razzismo tuttora presente; ha preso in giro nei film italoamericani ed ebrei, confermando che l’appartenere a un’etnia non esime dall’ironia e dalla beffa; ha raccontato modi di vivere penosi e poveri, rivendicando indipendenza e coraggio. Dunque un lavoro anche ideologico molto impegnativo, in opere sempre divertenti: un miracolo.
I suoi film (Fa’ la cosa giusta, Jungle Fever, Malcom X, In viaggio, adesso The Inside Man) sono film memorabili per la sua maggiore ambizione: essere cioè una sorta di Martin Scorsese nero, lasciare un affresco dell’America nera come lo lascia dell’America bianca quell’altro piccoletto che un tempo studiava cinema con lui, alla New York University Film School.
Da Specchio, 1 aprile 2006
Un ammiratore potrebbe dire che Spike Lee ha fatto tre film destinati a essere ricordati: Lola Darling (1986), Fa’ la cosa giusta (1989), Malcolm X (1992). Un detrattore potrebbe dire che ha fatto solo questi film, su una filmografia ben più vasta ma ripetitiva, fino a Clockers (1995): e non sarà un caso se due dei suoi film - School Daze e Crooklyn - non sono quasi circolati fuori dagli Usa. Ma non si può negare a Spike Lee di avere compiuto una rivoluzione e di aver portato il cinema black e i problemi della gente di colore alla ribalta delle cronache artistiche, in tempi e con risultati sorprendenti: Lola Darling ha avuto anche il merito di ricordare che esiste una borghesia nera (e di farlo con uno humour e una grazia che Spike Lee dimenticherà presto), mentre Fa’ la cosa giusta, con tutte le sue ambiguità riassunte nella doppia citazione del finale - da Malcolm X e da Martin Luther King - è un film tutto ritmo e humour nero (questa volta non nel senso del colore della pelle) che ha registrato e anticipato con ritmo febbrile l’inevitabilità dello scontro razziale.
Più artificiosi e mirati a compiacere un pubblico di colore mi sembrano Mo’ Better Blues (1990) e Jungle Fever (1991), che in qualche momento, con la loro pretesa di cantare la cultura borghese black, rischiano di cadere nel mélo in carta patinata. Clockers - uscito da Venezia ‘95 - è invece una caduta nella direzione opposta, quella della denuncia a tutti i costi e dello choc con tutti i mezzi. E nonostante la sua dimensione monumentale e una certa uniformità, Malcolm X è un film molto importante, forse il più onesto e limpidamente appassionato, destinato a restare come un pilastro tra le opere di un autore originale e speciale (che alla sua prossima prova - Sesso in linea - vedremo cimentarsi di nuovo con la commedia).
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996