Peter Ustinov è un attore inglese, regista, scrittore, sceneggiatore, è nato il 16 aprile 1921 a Londra (Gran Bretagna) ed è morto il 28 marzo 2004 all'età di 83 anni a Genolier (Svizzera).
Ambasciatore dell’Unicef dal 1968, pacifista incrollabile, poliglotta, coltissimo, giramondo, e soprattutto uomo di spettacolo totale. Questo era Peter Ustinov. Incrocio di molte razze diverse (il padre era un giornalista d’origine russa, la madre una scenografa d’origine francese, ma in lui si mescolavano anche ascendenze spagnole, italiane, tedesche ed etiopi), Peter Ustinov era nato a Londra il 16 aprile 1921, aveva studiato recitazione al London Theatre Studio e aveva debuttato in teatro nel 1938 ed esordito nel cinema, come caratterista, nel 1940. Subito dopo la guerra (alla quale aveva partecipato nel Royal Sussex Regiment e nei Royal Army Ordinance Corps.), si era affermato come uno dei personaggi più versatili della scena, del cinema e della nascente televisione britannica. Corpulento, occhi azzurri e acuti, bocca da ragazzino imbronciato o dispettoso, recitava i pezzi comici che scriveva, monologava con umorismo sottile, faceva da spalla ai protagonisti rubando di soppiatto la scena. Era felpato, sotterraneo, benedetto da quel “wit” che solo gli inglesi sanno dominare con tanta noncuranza. L’aspetto fisico, nel cinema, lo destinava inevitabilmente ai “caratteri”.
E fu un carattere (tra i peggiori) che nel 1951 lo trasformò in una star internazionale e gli valse la prima nominarion all’Oscar: il Nerone di Quo vadis di Mervyn LeRoy, infido, ambiguo, petulante, un istrione senza grandezza ma con molto potere, un ragazzino malcresciuto e malvissuto, per il quale forse doveva qualcosa a un attore al quale somigliava un po’ anche fisicamente, il grande Charles Laughton, che era stato Nerone vent’anni prima, nel Segno della croce di Cecil De Mille. L’Oscar arrivò nel 1960, per un altro antico romano, in bilico tra le caste, tra servilismo e dignità, in Spartacus di Kubrick, e nel 1964 un secondo, per uno dei suoi personaggi più belli, l’imbroglione maldestro di Topkapi di Dassin, dove l’ironia e il talento comico si fondevano al massimo con quell’ambiguità che è stata una delle sue chiavi più sotterranee e originali. Ma nel frattempo, Ustinov aveva dato corpo e sfumature ad almeno due grandi personaggi (un principe di Galles con echi falstaffiani in Lord Brunmel di Bernhardt e l’impresario-maestro di cerimonie in Lola Montès di Ophuls, un insinuante domatore soggiogato dalla sua “creatura”), aveva scritto e diretto quattro film (tra i quali il gradevole Giulietta e Romanoff, un Rorneo e Giulietta in anni di guerra fredda, e il notevole Billy Budd, da Melville), non si era risparmiato in teatro, aveva iniziato una lunga carriera di autore letterario (romanzi, racconti e un’autobiografia irresistibile, Dear Me, pubblicata nel 1977).
Poi arriveranno le regie liriche, l’attività umanitaria per l’Unesco e l’Unicef, l’Emmy Award televisivo per The Life of Samuel Johnson e una miriade di altri ruoli per il piccolo e grande schermo, tra i quali, finalmente, un protagonista, ma anche questo anomalo, bizzoso, sui generis, “buono” ma acido e antipatico: l’eroe di Agatha Christie, l’investigatore Hercule Poirot, piccolo belga pomposo, del quale raccoglie il testimone da Albert Finney (che interpretò il primo film della “serie” anni Settanta, Assassinio sull’Orient Express), nel 1978 in Assassinio sul Nilo, e poi nel 1982 in Delitto sotto il sole e nel 1985 nel televisivo Tredici a pranzo. Un Poirot maneggiato coi guanti, sempre sul filo dell’auto-parodia ma mai macchietta, qualcuno di cui sorridere ma da non sottovalutare. I film non erano eccezionali, la misura di Ustinov, il suo gusto.
Da Il Sole-24 Ore, 4 aprile 2004
Peter Alexander Ustinov, figlio di un giornalista di origini russe e di un'artista di origini francesi. E a Londra, dopo aver frequentato la Westminster School, era entrato al London Theatre Studio, per uscirne nel 1938 giovanissimo attore di grande talento e versatilità. In quell'anno debutta a Shere nel Surrey e subito dopo, a Londra, in una serie di suoi sketch comici e satirici. E’l'inizio di una carriera prodigiosa che vedrà Ustinov affermarsi tanto in teatro quanto in cinema e poi in televisione, dopo la seconda guerra mondiale, alla quale aveva partecipato nel Royal Sussex Regiment e nei Royal Army Ordnance Corps: non solo come attore, ma anche autore di commedie e drammi, regista e sceneggiatore cinematografico, regista teatrale e di opere liriche, scrittore di racconti e romanzi. Un'attività multiforme, debordante (come la sua corporatura massiccia e leggera al tempo stesso), intelligente, curiosa, che lo portò non soltanto al successo in patria e all'estero, ma anche a una serie di incarichi nazionali ed internazionali di prestigio. Fu, fra l'altro, rettore della Dundee University dal 1968 al 1973, incaricato all'Unesco e poi ambasciatore dell'Unicef. Non v'è dubbio che per lui il teatro, lo spettacolo, l'intrattenimento, in tutte le sue forme e manifestazioni, lo attraevano in modo particolare, tanto da farne una sorta di «animale scenico» la cui presenza, sul palco o sullo schermo grande e piccolo, non poteva passare inosservata. La sua recitazione non era quella di un divo o di un prim'attore (d'altronde il suo fisico non glielo consentiva), ma piuttosto quella dell'attore di spalla, del comprimario, del personaggio secondario. Le sue caratterizzazioni, in questo senso, sono rimaste esemplari, fin dai primi film degli Anni 40, come la figura del prete da lui tratteggiata in Volo senza ritorno (1941) di Powell e Pressburger. Ma come dimenticare il personaggio di Nerone nel Quo vadis (1951) di Mervyn Le Roy, che gli valse una «nomination» all'Oscar? Personaggio sfaccettato, sottilmente crudele, infido, ma anche ironico, geniale, qua e là grottesco. E come dimenticare i personaggi di Batiatus in Spartacus (1960) di Stanley Kubrick e di Arthur Simpson in Topkapi (1964) di Jules Dassin, per i quali ebbe l'Oscar come migliore attore non protagonista? In essi, e in molti altri da lui interpretati, fra cui il commissario Hercule Poirot di Agatha Christie in Assassinio sul Nilo (1979) di John Guillermin, in Delitto sotto il sole (1982) di Guy Hamilton e nel televisivo Tredici a pranzo (1985), Ustinov seppe infondere la sua arguzia, il suo «sense of humor», la sua grande maestria, mai disgiunta da un pizzico di autoironia, da quel nobile distacco dalla parte, un distacco quasi aristocratico, che gli impediva di identificarsi totalmente col personaggio, di annullarvisi senza residui personali. Uno stile di recitazione, per certi versi più teatrale che cinematografico, che l'ha posto a un diverso livello rispetto ai suoi colleghi, meno coinvolto e coinvolgente. Uno stile che si riscontra anche nelle sue regie cinematografiche (dall'esordio con The School for Secrets, 1946, ad Angelo privato, 1949, a Giulietta e Romanoff, 1961, da una sua commedia, a Billy Budd, 1962, dal romanzo di Melville, a Una faccia di c…, 1972), nelle sue commedie, nei suoi romanzi e racconti e nella sua bellissima autobiografia, Dear Me, uscita nel 1977. La fine del comunismo aveva permesso di riallacciare i rapporti con il paese d’origine del padre. Recentemente era stato chiamato al Teatro Bolshoj a mettere in scena l’opera di Prokofiev L’amore delle tre melarance. Il suo ultimo film Luther, in cui interpreta il ruolo di Federico «il saggio», grande elettore di Sassonia che scese in campo in difesa di Lutero, uscirà ad aprile.
Da La Stampa, 30 marzo 2004