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Rassegna stampa di Gregory Peck

Gregory Peck (Eldred Gregory Peck) è un attore statunitense, è nato il 5 aprile 1916 a La Jolla, California (USA) ed è morto il 12 giugno 2003 all'età di 87 anni a Los Angeles, California (USA).

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

Lei ha vissuto nell'epoca d'oro del cinema americano. Cosa pensa sia cambiato rispetto alla Hollywood di allora?
Posso spiegarlo con due piccoli aneddoti. Stavo girando un film con Ava Gardner e un giorno, ci eravamo appartati per mangiare qualcosa. All'improvviso la gente si accorse di Ava e si fermarono tutti, non si sentiva volare una mosca. Quella sì che era una diva. E poi all'epoca ci si divertiva, il lavoro era veramente divertimento. Liz Taylor andava in giro sul set con una piccola scimmia sulla spalla, ed era molto buffo. Una mattina incontrai Groucho Marx, che fischiettava prima di entrare in studio. Lo facevo anch'io abitualmente, perché per me era un piacere fare questo mestiere. Oggi si producono film molto belli, che guardo volentieri, ma forse non c'è più lo stesso gusto, la stessa voglia di lavorare ridendo. Io mi sono sempre alzato prestissimo e ricordo che un giorno Cary Grant mi disse che voleva smettere di recitare per non essere più in piedi alle 5 del mattino; per me invece non è mai stato un problema.

LUIGI PAINI
Il Sole-24 Ore

Come guardava lontano lui, lo sguardo fisso verso un punto fermo dell'orizzonte, non c'era nessuno. Se c'è m'espressione che può riassumere l'essenza di Gregory Peck è questa fissità volitiva, questo calmo ma inflessibile guardare in avanti, capace di comunicare un senso di fiducia, di convinta compartecipazione allo spettatore. L'attore americano aveva questo dono dello sguardo, che si portava dietro in ogni interpretazione, Vedi ad esempio per il personaggio dell'avvocato progressista Atticus Finch, con il quale vinse il suo unico Oscar, nel 1962: un uomo che, in una cittadina del profondo Sud razzista, si prende coraggiosamente carico della difesa di un nero accusato dello stupro di una bianca. Un eroe borghese un tranquillo cittadino, come potrebbe essere ciascuno di noi, che al momento opportuno sa qual è il suo dovere e non si tira indietro. Questa fissità poteva essere il suo maggiore handicap. E infatti uno che se ne intendeva davvero (ma che questa volta si sbagliò, e di grosso), il mitico produttore David O. Selznick, nel 1941 aveva pensato bene di non assumerlo, rischiando di troncare sul nascere cotanta carriera. “Il ragazzo somiglia troppo ad Abramo Lincoln”, disse più o meno, e in quanto a personalità beh, meglio lasciar perdere. Si sbagliava appunto, e quel giovanotto era destinato a fare farne tanta, di strada.

DAVE KEHR
The New York Times

These days we seem to prefer an informal, buddy-buddy relationship with our movie stars. But there was a time when a more decorous, paternal authority was in fashion, the sort of authority that Gregory Peck projected over the course of his long career.
Peck's gift for combining emotional distance and moral compassion is best represented by his most famous role, the transcendently decent small-town lawyer Atticus Finch in “To Kill a Mockingbird,” Robert Mulligan's 1962 adaptation of Harper Lee's novel. Peck's Oscar-winning performance is naturally the centerpiece of “The Gregory Peck Film Collection,” a handsomely produced boxed set from Universal Studios Home Entertainment.
The set also contains Peck's more vigorously protective paterfamilias in J. Lee Thompson's 1962 “Cape Fear,” as well as four films new to DVD: Raoul Walsh's “World in His Arms” (1952), David Miller's “Captain Newman, M.D.” (1963), Edward Dmytryk's “Mirage” (1965) and Stanley Donen's “Arabesque” (1966).
Like John Wayne, his ideological opposite, Peck became a star during World War II, thanks partly to the shortage of leading men, many of the more established actors having been called into service. As a father of four, Wayne had a family exemption; Peck was passed over because of a bad back, injured during studio dancing lessons led by Martha Graham.

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I due western emergono in una programmazione estiva sempre più ripetitiva. E suscitano delle riflessioni.
Un lavoro che fornisce una materia prima solidissima, anche grazie allo sguardo sopraffino di Barbara Kopple.
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