La Milano-Sanremo, che si correrà sabato 22 marzo, è una delle cinque cosiddette “classiche monumento”. C'è stato un tempo in cui l'Italia dominava. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
Milano-Sanremo, Festival di Sanremo. Adesso, se pronunci quel nome, domina il festival. Sappiamo: è una manifestazione ipertrofica che include spettacolo, sociale, ospiti, musica (poca), tutto. Significa Italia. Italia nel mondo. I media se ne occupano per settimane.
La Milano-Sanremo sussiste sempre, è una delle cinque cosiddette “classiche monumento”. Anche quella corsa viene molto seguita dai media, diventa spettacolo del piccolo schermo, ma la dimensione è molto lontana rispetto al festival.
Ciclismo. Per decenni l’Italia è stato il paese dominante nel ciclismo. Ora non lo siamo più, da anni siamo in declino, non abbiamo campioni completi. La “Sanremo”, che si correrà sabato 22 marzo, non sarà vinta da un italiano. Non è bello dirlo.
E allora che si fa? Si guarda al passato. Concetto importante, sentimento triste, coltivato da anime profonde: Scott Fitzgerald scriveva:
“Così navighiamo di bolina, barche contro la corrente, riportati senza posa nel passato.”. Il suo coetaneo geniale Thomas Wolfe intitolava “Angelo, guarda il passato”. I due, non erano persone felici.
E poi che cos’è Via col vento, il film dei film, se non la visione del passato quando prima della guerra civile il Sud era un posto franco e felice.
E così torniamo laggiù, in quel paese sfuocato che è il passato. Come si dice, riavvolgiamo il nastro. E’ come accade quando in un film scatta il flashback, dove si cambia estetica, colore, e la luce diventa nebbia. Ma da tutto questo si può recuperare qualcosa, ma sì, un mantra di allora, una storia epica.
Lo racconto, sotto.
Il contesto. Milano, primavera del 1946. La città presenta ancora i segni dei devastanti bombardamenti dell’agosto del ’43, che non hanno risparmiato tesori simbolo come il Duomo e la Scala. Il sindaco è Antonio Greppi, di Angera, lago Maggiore. E’ un socialista indicato dal ClN, comitato di liberazione nazionale. E’ uomo di amministrazione e di cultura. Ha fatto la Resistenza. Sa guardare avanti, ha coraggio. Usa le poche risorse disponibili per le case popolari ma non dimentica di restaurare il Duomo e la Scala. Ritiene che, al di là delle necessità primarie, occorra dare un segnale potente: far tornare alla vita due simboli come fiaccole accese visibili dal mondo, ripristino della magnifica tradizione culturale milanese e italiana.
Ma c’è dell’altro, a Milano. In piazza Castello, il 19 marzo, san Giuseppe, si raduna il movimento del ciclismo, per la Milano-Sanremo, 37esima edizione: i ciclisti, giovani di tutti i paesi che la Guerra ha messo contro, e non ne avevano voglia. Sono commossi, non si vedono da sei anni, alcuni si abbracciano, altri... non ci sono più. C’è Gino Bartali, che durante la guerra, nascosti nel telaio, portava documenti che salvavano vite degli ebrei, che sarebbe stato nominato, anni dopo, “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il sacrario della Memoria di Gerusalemme. C’è Fausto Coppi, che era stato prigioniero degli inglesi in Tunisia. La guerra aveva dunque fermato il mondo e aveva fermato lo sport. Non c’erano stati Olimpiadi, campionati mondiali di calcio, di ciclismo e di nessuno sport, campionati europei e nazionali, non si erano corsi il Giro e il Tour. Tutto sospeso. Ma ecco quella Milano-Sanremo. L’evento, il primo da cui tutto ricominciava: e non solo le grandi manifestazioni di sport dette sopra, ricominciava l’Europa. Quel raduno sanciva la normalità, soprattutto la pace, ritrovate.
La carovana si mette in moto. Raggiunge la Conca Fallata di Leonardo, sul Naviglio pavese, dove è fissata la partenza. Nemmeno un anno prima, su quella strada, statale 35, in senso opposto, passavano i camion e i cingolati degli alleati che andavano a liberare Milano.
Partenza. Dopo pochi chilometri, a Binasco, già si è formata la fuga che comanderà la corsa. Fra gli attaccanti c’è il francese Tessaire, ci sono un belga, un inglese, un tedesco, qualche italiano. Soprattutto c’è Fausto Coppi. A condurre il treno è quasi sempre lui. Sul Turchino scatta una, più volte. In cima al passo è rimasto solo. L’ultimo a cedere, Tessaire. Fausto si lancia in discesa, plana in Riviera, pedala senza scomporsi, in pianura. Supera i tre capi, Mele, Cervo, Berta. Sa che il distacco si è dilatato. La gente si accalca ai bordi della strada. A milioni. Le immagini di allora rimandano facce scavate, ancora sofferte. E nessuno è elegante. Coppi arriva a Sanremo, imbocca la via Roma, l’ultimo chilometro, quasi di inerzia. Taglia il traguardo, l’esultanza di tutti è abnorme, nell’incredulità di quel momento che sembra impossibile, sembra un sogno.
Fausto è sul palco, lo sostengono, aspettando gli altri, che non arrivano. Lo speaker della radio, Mario Ferretti dice: “in attesa trasmettiamo musica da ballo”. Tessaire arriva dopo 14 minuti, Bartali dopo 18.
E così Coppi divenne il simbolo del Paese che si rialzava dalla guerra, e il modello degli italiani, sconfitti, umiliati e poveri, che si identificarono in lui. E quella festa povera, ma sempre una festa, continuò. Negli anni a venire Fausto, col suo antagonista Bartali continuò a rappresentare quella rivincita e quella speranza, finché c’erano ricordi tristi, fatiche per recuperare, ipotesi di una vita buona che prima o poi la nazione avrebbe raggiunto.
Quella rivincita italiana innescava un anno, il 1946, che avrebbe portato al Referendum del 2 giugno e subito dopo, alla prima seduta dei padri costituenti per dare una costituzione alla neonata Repubblica. Mentre De Gasperi preparava il suo viaggio in America, da sconfitto ma con dignità, e affrontava Congresso per chiedere aiuti al presidente Truman. Che arrivarono. Lo storico Piano Marshall. E così la nazione si rimetteva in linea con le potenze del continente. Politica, cambiamenti e Storia. Ma il nome più pronunciato alla radio, più scritto sui giornali e sui muri era Fausto Coppi.
Una volta mio padre subì un’operazione per la frattura di un gomito. Quando ne parlava non diceva “era il 1953”, diceva “era l’anno che Coppi ha vinto il Giro sullo Stelvio.