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Firenze sotto vetro, il social film su una città cristallizzata dal lockdown

Pablo Benedetti e Federico Micali raccontano il progetto che ha coinvolto attivamente migliaia di fiorentini (con qualche inaspettata sorpresa) in un momento storico tra i più delicati di sempre. Ora al cinema LaCompagnia di Firenze.
di Ilaria Ravarino

lunedì 10 maggio 2021 - Incontri

Un social film sulla Firenze del lockdown, cristallizzata tra prima e seconda ondata, realizzato con i contributi video inviati ai registi Pablo Benedetti e Federico Micali da medici, infermieri, tassisti, cuochi, insegnanti, lavoratori e cittadini di Firenze per raccontare la ribollente vita sotterranea nell’apparente immobilità pandemica.

Prodotto da Malandrino Film e 011Films, Firenze Sotto Vetro è un documentario no profit i cui utili andranno a sostegno dei lavoratori dello spettacolo, in sala dal 6 all’11 maggio al cinema La Compagnia di Firenze, in attesa di una distribuzione su scala nazionale. 

Come è nata l’idea del film?
Pablo Benedetti: Come tanti altri autori, durante il lockdown Federico e io abbiamo sentito il bisogno di fare qualcosa. L’idea del “social film” ci è sembrata giusta perché ci permetteva di esprimere il punto di vista di una collettività, non solo il nostro. Abbiamo subito condiviso il progetto con alcuni partner, tra cui Lady Radio e il Comune di Firenze, e ci siamo messi a lavorare via Zoom.

Come avete fatto a coinvolgere la città ?
P.B.: Abbiamo lanciato il progetto con una “call” (un bando, ndr), e con l’aiuto della radio, dei social e dell’ufficio stampa del Comune abbiamo fatto girare la voce. Nel giro di una settimana ci sono arrivati i primi materiali. Il passaparola ha fatto il resto.

Quanto materiale avete raccolto?
Federico Micali: Abbiamo ricevuto circa 1600 contributi: ci serviva molto materiale per fare un film e non una semplice lista di video di YouTube. I filmati ricevuti ci hanno permesso di costruire un arco narrativo, di bilanciare i momenti leggeri e quelli più drammatici, di raccontare le storie di chi ha sofferto e di chi faceva il pane in casa, illustrare il fenomeno dei balconi, i balli condivisi, le nuove forme di aperitivo e i tanti piccoli grandi avvenimenti di quell’anno.

Avete lavorato solo con filmati da smartphone?
P.B.: No, il materiale ci è arrivato in modalità e formati diversi. La maggior parte delle riprese erano state realizzate con i telefoni, sia in orizzontale che in verticale. Ma abbiamo ottenuto anche contenuti di tipo professionale, video in 4k girati da semplici appassionati, filmati da Florence TV, riprese realizzate da alcuni operatori di droni o dai video maker della città e da piccole case di produzione. 
F.M.: Personalmente sono stato colpito dal contributo che ci ha mandato il Direttore degli Uffizi (Eike Schmidt, ndr): una ripresa spontanea girata proprio da lui. È bello che si siano messi in gioco anche i big della cultura fiorentina.

Come avete selezionato il materiale?
P.B.: Abbiamo scelto di vedere tutti i video solo all’ultimo. Subito ci siamo resi conto che ci era arrivato di tutto: la ragazza che aveva paura, quelli che reagivano, chi se ne andava al lavoro, chi stava in ospedale. Avevamo a disposizione tanti generi diversi e dovevamo cercare una temperatura intermedia per poter dare voce a tutti. Pensavamo di interrompere la ricerca ad aprile, poi è arrivata la seconda ondata e abbiamo rilanciato la call. Non sarebbe stato leale interrompere la raccolta a quel punto. 

Quasi tutti, sui cellulari, hanno voluto conservare immagini del lockdown. Perché? 
F.M.: Perché ci siamo resi conto di vivere un momento che speriamo irripetibile, così come inedita era la possibilità di fissarlo nei nostri smartphone. La nostra call non chiedeva ai cittadini di girare qualcosa appositamente per il film, ma di inviarci il materiale già filmato. Eravamo sicuri che tutti avessero delle pillole di vita privata da condividere. Del resto era un momento che andava documentato. Abbiamo avuto l’impressione che la città lo stesse vivendo con lo stesso portato emotivo e la stessa intensità con cui si ricorda ogni 4 novembre l’alluvione del 1966.  

Firenze ha reagito al Covid in modo diverso dalle altre città?
P.B.: I fiorentini sono ironici ma anche tosti. Ciò che li contraddistingue è il modo spontaneo e naturale di reagire alle tragedie. Sdrammatizzano, hanno sempre il sorriso. Si sono ripresi la città e ci si sono stretti intorno, aiutandosi l’uno con l’altro. È la cultura fiorentina, ma anche quella italiana: la porta sempre aperta, il quartiere che ti accoglie, il vicino con cui scambiarsi il paniere e le uova.
F.M.: In più Firenze, come probabilmente anche Roma, ha scoperto il suo centro, vuoto e abbandonato per la gentrificazione. Le case affittate ai turisti, trasformate in B&B, si sono completamente svuotate. Ancora oggi i ristoranti sono aperti per nessuno. Speriamo che questa tragedia ci dia almeno l’occasione per ripensare le nostre città.

Avete visto il progetto analogo di Gabriele Salvatores, Fuori era primavera?
F.M.: Abbiamo deciso di non vederlo per non farci condizionare: è uscito mentre montavamo il nostro. 

Il film avrà una vita fuori da Firenze?
P.B.: Certamente. Oltre alla proiezione in sala, cui tenevamo moltissimo, abbiamo preparato anche un DVD: un’operazione vintage, su supporto solido, arricchita da un libretto che racconta il progetto, pensata per il circuito delle librerie. E poi naturalmente stiamo cercando uno sbocco anche su piattaforma.


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