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Dies Irae, un film che ha dato un'identità al cinema

Il capolavoro di Carl Theodor Dreyer torna nella sale, dopo decenni, restaurato. Un'opera che già dalla sua produzione riscrive la storia.
di Pino Farinotti

Lisbeth Movin - 7 Novembre 2011. Interpreta Anne Pedersdotter nel film di Carl Theodor Dreyer Dies Irae.
lunedì 25 marzo 2019 - Focus

Absalon, anziano pastore, ha sposato in seconde nozze Anne, molto più giovane di lui. Marta di Herlof, accusata di stregoneria, viene giudicata da Absalon che nasconde, come si dice, uno scheletro nell'armadio: aveva messo a tacere le accuse contro la madre di Anne a sua volta accusata di stregoneria. Marta ne è al corrente. Arriva Martin, primo figlio di Absalon, incontra Anne, la matrigna, per la prima volta, i loro sguardi sono più che eloquenti. C'è anche Merete, madre di Absalon, che incombe su tutto, e odia la nuora. Marta viene interrogata e torturata dai giudici. Scongiura il pastore di aiutarla, come aveva fatto per la madre di Anne. Absalon, senza nessuna pietà, non muove un dito.

Martin e Anne si sono innamorati. I due si isolano nel bosco. La strega, urlante di rabbia verso Absalon viene bruciata sul rogo. Anne conosce tutte le verità e ha preso a odiare il marito. Desidera la sua morte. Si accredita, lei figlia di strega, come strega a sua volta. Confessa ad Absalon il suo amore per Martin. Il vecchio pastore si porta la mano sul cuore e muore. Martin sospetta del potere e dell'azione della matrigna e gliene chiede ragione, la donna confessa di aver desiderato la morte del marito, ma di non aver usato "quei" poteri. Ma è Merete a determinare i destini. Accusa la nuora di stregoneria. Martin, debole, non ha la forza di difendere Anne, che abbandonata, delusa e travolta dal pregiudizio, confessa un delitto che non ha commesso.

La storia del pastore Absalon e di sua moglie Anne si svolge in Danimarca nel 1623. Dreyer lavora a Dies irae nel 1942. Quel paese aveva vissuto, in quelle due epoche, vicende storiche per certi versi omologhe. Attraverso due guerre, epocali, devastanti.
Pino Farinotti

La Danimarca si trovò ad essere uno degli stati protagonisti nella fase, detta appunto "danese", della guerra dei trent'anni (1618- 1648). La guerra aveva coinvolto tutte le grandi potenze d'Europa. Le cause erano complesse: Germania, Francia e Svezia si contendevano il dominio dell'Europa attraverso un pretesto religioso, il contrasto fra cattolici e protestanti. La guerra si concluse con la fine del dominio spagnolo, la prevalenza francese nel centro dell'Europa e di quella svedese nel Baltico.

Nel 1623 il luteranesimo è religione di stato da meno di un secolo, dunque non ancora del tutto consolidata. L'angoscia attonita sospesa sulle teste dei personaggi di Dies Irae può dunque legarsi al re che con le sue strategie complicate e pericolose non contribuisce certo alla serenità dei suoi sudditi. È la stessa "angoscia attonita" dei danesi, e di Dreyer, nel 1942.

Il 9 aprile del '40 i nazisti hanno invaso la Danimarca. Il Paese è culturalmente neutrale, tanto da non avere quasi un esercito. Re Cristiano si rende conto dell'inutilità di una resistenza e ordina la resa. La neutralità viene formalmente rispettata da Hitler, il re e il governo restano al loro posto, tuttavia la Danimarca è di fatto occupata. La situazione è semplice: i danesi si affidano alla clemenza del vincitore. È in quel contesto che Dreyer dirige il suo film. La ribellione di Anne nei confronti di Absalon, che intende essere padrone del suo corpo e della sua anima, può anche essere letta come segnale, intimo e imploso di dolorosa accettazione dell'oppressione tedesca.


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Espressionismo

Raccontando Dreyer non si può non rifarsi all'espressionismo, quel movimento, artisticamente decisivo, sviluppatosi in Germania fra il 1905 e il 1930, dunque negli anni di maggiore energia creativa e di più forte curiosità ed entusiasmo del regista. L'espressionismo, applicato all'inizio soprattutto alle arti figurative, "invase", via via, la letteratura, il teatro, e poi il cinema: significa eccesso di espressione, nei gesti e nell'estetica, soprattutto attraverso l'uso delle luci e, ancora di più, delle ombre.

L'espressionismo poteva rappresentare una pratica utile nei film muti, dove l'eccesso andava a compensare e a soccorrere la mancanza della parola. Ma col "parlato" le misure andavano pesate con grande attenzione, lo spartiacque fra un'opera d'arte di energia maggiore e un'anarchia estetica grottesca era molto sottile. Un'opportunità tanto efficace, in cinema, fu spesso gestita da autori inadeguati. Anche Hollywood la importò, con risultati contrastanti.

Dreyer invece seppe tenere e bada l'"espressione", anzi la assunse con grande naturalezza, facendone parte integrante, e nobile, della sua poetica e della sua estetica, registrandone l'intensità a seconda delle opere e diluendola dopo la sua prima fase. Il Dreyer espressionista è soprattutto quello dei "muti" iniziali, e di Vampyr, dove la seduzione espressionista è davvero irresistibile, applicata com'è a un contenuto da visione, inquietudine e delirio, con un'apertura all'horror, e dove il tutto deve vivere sulle atmosfere, dunque proprio sulle luci e sulle ombre.


Lutero

Col luteranesimo, così fisicamente, "familiarmente" presente, persino oppressivo, Dreyer deve dunque confrontarsi. Una dottrina che separa con tanto rigore il potere spirituale da quello temporale, che indica il privilegio assoluto di coloro che appartengono alla chiesa e vivono nella fede autentica, viene intesa dal regista come una disperata discriminazione.

Un sentimento che Dreyer trasferisce in Dies irae, e che viene rappresentato come ribellione all'intolleranza di quella fede che si trasforma in chiesa e produce dogmi per delegare la felicità a un al di là misterioso e tenebroso. Il regista rileva la volontà, magari disperata, dell'uomo, di riaffermare la propria individualità e anche la speranza, come mezzo per ottenere libertà ed emancipazione, seppure attraverso sofferenze anche estreme.


Regia e produzione

Pittura è una parola chiave dello stile di Dreyer, intesa anche in senso stretto. La storia del cinema presenta una serie di film che hanno abbondantemente attinto all'arte figurativa che, ben metabolizzata, può rappresentare un valore aggiunto estetico molto prezioso. C'è anche una legittimazione forte, viene da Jean Luc Godard, secondo il quale Lumière potrebbe essere considerato non solo il primo cineasta ma anche l'ultimo pittore impressionista. Dreyer si rivolse a un grande modello, Rembrandt. Dopo una ricerca profonda selezionò tre quadri: "La lezione di anatomia del dottor Tulp", "Ritratto di Cornelius Anslo e di sua moglie Altje Schouten" e "I sindaci dei drappieri". C'è da rappresentare il tribunale che giudicherà la strega. Il regista lavora sui volti: i modelli di Rembrandt hanno tutti, rigorosamente, la barba, indossano abiti neri, per fortuna portano gorgiere e colletti bianchi a contrastare. E molti hanno il cappello. Dreyer rinuncia a qualche barba e ai cappelli. Si studiano le luci, intensità e posizione, e si compone la giuria. Si preparano le inquadrature, con l'ascetico Absalon nel mezzo. Molti fotogrammi saranno semplicemente dei Rembrandt in bianco e nero.

La scelta degli attori, in un certo senso è una scelta "pittorica". Modelli che si devono inserire nei vari contesti. Anche la selezione dei due protagonisti è...decisiva. Al pastore Absalon spetta un'immagine dura e ascetica, un disegno statico da giudice senza dubbi e al centro di tutto. Caratteri che vengono rinvenuti nel sessantottenne Thorkild Roose, un attore di teatro con alle spalle un bagaglio articolato e prestigioso. Roose aveva un'impostazione accademica, "cerebrale", con una dizione classica, perfetta. Insomma era Absalon. Anche il ruolo di Anne non è semplice, non basta una bella figura giovane e un'espressione intensa. Dopo una serie di audizioni si arriva a Lisbeth Movin. L'attrice proviene dall'Accademia del Teatro Reale. Ha scarsa esperienza di cinema, ma non c'è dubbio che imparerà.

Dies irae uscì nel 1943, accolto della critica di tutti i paesi come un'opera d'arte sincretica che sorpassava il cinema ed entrava negli "assoluti imprescindibili". E tale è rimasto.


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