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La politica degli autori: Abel Ferrara

Un cineasta di grande spessore dallo sguardo radicale e dallo stile forsennato.
di Mauro Gervasini

In foto Abel Ferrara, regista di Welcome to New York.
Abel Ferrara (73 anni) 19 luglio 1951, New York City (New York - USA) - Cancro. Regista del film Welcome To New York.

lunedì 26 maggio 2014 - Approfondimenti

In fondo Welcome to New York di Abel Ferrara, non selezionato al Festival di Cannes 2014 per evitare contraccolpi tutti interni alla vita politica francese, è il biopic di una città più che di Dominique Strauss-Kahn, per gli amici DSK, al centro di uno scandalo sessuale che proprio nella Grande Mela lo fece finire in prigione (nelle ultime ore il vero DSK ha querelato Ferrara e il Produttore Vincent Maraval, come da copione). Solo il regista di King of New York (1990) poteva scegliere come pretesti un'ingombrante figura pubblica, interpretata da un'ancora più ingombrante figura cinematografica, Gérard Depardieu, per gli amici Gegè. Pretesti per dipingere (tra esterni ma soprattutto interni) una claustrofobica città che inghiotte, vorace. Per Ferrara e il suo ex braccio destro, lo sceneggiatore iper cattolico Nicholas St. John, una sorta di Gomorra della dannazione. Rispetto ai bei tempi del gangster Re di New York o dello sbirro di Il cattivo tenente, Gegè non cerca alcuna redenzione, l'argomento non gli interessa, il potere impermeabilizza, la morale è come l'orgoglio per Marsellus Wallace: basta fottersene.

Abel Ferrara e New York. Anzi: Abel Ferrara è New York, nonostante negli ultimi anni i soldi per fare film riesca a trovarli solo a Roma e a Parigi. Anche colpa sua: pochi cineasti di pari spessore si sono dimostrati più dissoluti, effimeri, inaffidabili, caotici, ingestibili, impresentabili. Però una certezza accomuna fan e detrattori: ci è, non ci fa. Ferrara e il suo cinema sono un magma creativo dove maledettismo, radicalità di sguardo, temi ricorrenti (peccato, colpa e redenzione su tutti) e uno stile forsennato sono dominanti. Caratteristiche di cui non ha l'esclusiva, anzi certi suoi titoli sono molto vicini, per forma e contenuti, a quelli newyorkesi di Martin Scorsese e Paul Schrader, ma sempre più febbricitanti, istintivi e deraglianti. Ferrara ha diretto capolavori? Certo, almeno due: The Addiction (1995) e Fratelli (1996) entrambi scritti da St. John, il quale una volta terminata la collaborazione con l'amico si è ritirato a insegnare teologia in un college del New Jersey, quasi rimuovendo una carriera gloriosa cominciata con un biblico hard core (Nine Lives of a Wet Pussy, a voi la traduzione, regia di Abel detto Jimmy Boy). The Addiction è un allucinante viaggio (ovviamente newyorkese) attraverso il Male nelle sue "umanistiche" accezioni. Solo che a farlo non sono esseri umani ma vampiri, condannati alla stessa (nostra) dannazione (e qui sta il colpo di genio). Il film si apre sui più spaventosi eccidi del XX secolo e prosegue con un vampiro esistenzialista (Christopher Walken) che ricorda come Sartre e Beckett non scrivessero opere di fiction. Il tutto si chiude con la comunione della vampira protagonista, cosa forse mai vista in un horror. Da sottolineare come parte del cast sia quello in futuro dei Soprano, dalla meravigliosa Annabella Sciorra a Edie Falco a Michael Imperioli, rispettivamente amante, moglie e nipote di Tony Soprano.

Intervistato da Olivier Assayas (ovviamente) sconvolto da The Addiction, alla domanda «Si sente più vicino a Nietzsche o a Feuerbach?» Ferrara risponde «Mi sento più vicino a Lily Taylor». Quasi a volere riportare sulla terra il pindarismo teorico-filosofico di St. John, trasformandolo in carne. Sbagliato però considerare uno il braccio e l'altro la mente di una visione di cui si è perso lo stampo: Il cattivo tenente (1992) ad esempio viene scritto dal solo Abel insieme alla sua compagna di merende (non esattamente "girelle"...) Zoë Lund, già protagonista del lancinante L'angelo della vendetta (1981). Vero però che dopo l'allontanamento definitivo di St. John l'opera del regista ha più di uno sbandamento. I budget si fanno più risicati, e anche se con Il nostro natale (2001) si ha la sensazione che ancora di un maestro si stia parlando, il resto del decennio mostra solo a sprazzi il talento di un tempo. In attesa di vedere il film su Pasolini interpretato da Willem Dafoe, e ovviamente il nuovo Welcome to New York, conviene guardare o riguardare i grandi film del suo delirante e ispiratissimo passato.

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