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Il cinema in movimento

Che cosa succederà al 3D?
di Roy Menarini

In foto una scena del film Hugo Cabret di Martin Scorsese.
Asa Butterfield (27 anni) 1 aprile 1997, Londra (Gran Bretagna) - Ariete. Interpreta Hugo Cabret nel film di Martin Scorsese Hugo Cabret.

lunedì 17 febbraio 2014 - Focus

Che cosa è Il cinema in movimento? Una rubrica dedicata alle trasformazioni del cinema nell'epoca dei new media e alle riflessioni che si possono trarre dalle novità in atto.

Forse non si è ancora avuto il tempo per analizzare con calma e serenità i dati di incasso del 2013, marchiati a fuoco dal boom di Checco Zalone. Dunque, nel 2013 il box office italiano sembra aver avuto una piccola ripresa, come un malato convalescente che si alza al mattino con quella piccola energia in più che gli fa immaginare di aver superato il peggio. Secondo i dati Cinetel le presenze sono aumentate quasi del 7% rispetto al 2012, con circa 109 milioni di presenze. Ma il fatto che gli incassi in denaro siano invece aumentati solo dell'1 e mezzo per cento, potrebbe lasciare perplessi i non addetti ai lavori. Lo scarto tra box office e presenze ha una spiegazione semplice, la discesa del 3D, che nell'ultimo anno ha totalizzato 7 milioni di spettatori contro i 12 milioni del 2012, e quindi 62 milioni di euro di incassi contro i 112 del periodo precedente.

Tutta colpa della crisi economica? Il 3D pesa troppo sulle tasche degli italiani? Probabilmente non basta. Anche se ben più duraturo delle altre comparsate negli anni Cinquanta e Ottanta, il fenomeno della tridimensionalità si conferma tutto sommato ancillare rispetto all'esperienza cinematografica tradizionale. Il che non significa, però, che si sia trattato di una bufala o di un complotto delle multinazionali. È vero che ha funzionato come testa d'ariete per la digitalizzazione delle sale cinematografiche, ma ha indiscutibilmente riportato la film experience in sala in epoca di preoccupante fuga verso altri settori dell'intrattenimento. I problemi tecnici del 3D, tuttavia, sono irrisolti: scarsa luminosità, frequente senso di saturazione e fastidio per una larga fetta di spettatori, rapida obsolescenza della novità presso le audience più giovani (croce e delizia di ogni innovazione: si trova una reazione entusiasta, ma di breve durata).

E ora? Più che una completa sparizione del tridimensionale, è probabile che assisteremo a una sua valorizzazione qualitativa. Meno 3D costruiti a caso o persino farlocchi (le famigerati postproduzioni), e maggior enfasi su alcuni film realizzati appositamente. L'anno scorso Star Trek - Into Darkness, purtroppo passato quasi inosservato in Italia, si era dimostrato esempio eclatante, grazie all'attenzione con cui J.J. Abrams ha sperimentato la terza dimensione e studiato all'uopo movimenti di macchina, spazi rappresentati e coreografia dei corpi, col risultato di reinventare gli interni della Enterprise. E l'anno prima Hugo Cabret di Scorsese aveva quasi teorizzato l'analogia tra lo stupore del cinema delle origini e la meraviglia del digitale 3D. In futuro, avremo sicuramente casi simili. Tutto fa credere, per esempio, che gli annunciati seguiti di Avatar (il film più rappresentativo dell'ondata contemporanea) strabilieranno ancora in questa direzione. E allora sì che il 3D diventerà una forma di stile, e non solo un formato commerciale, da usare a seconda delle scelte iconografiche e produttive del film.

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