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Emir Kusturica al Lucania Film Festival

Intervista al cineasta serbo, Palma d'Oro a Cannes nel '95 per Underground.
di Fiorella Taddeo

In foto il regista serbo Emir Kusturica in occasione di una conferenza stampa in Russia nel febbraio 2012.
Emir Kusturica (69 anni) 24 novembre 1954, Sarajevo (Bosnia-Herzegovina) - Sagittario.

martedì 14 agosto 2012 - Incontri

A Pisticci le proiezioni si fanno "en plein air". Come nell'Italia degli anni '50 e '60, quando per ricreare la magia del cinema servivano solo la piazza del paese, le facciate di chiese e casette e un cielo stellato. Nella cittadina della Basilicata, sede da 13 anni del Lucania Film Festival, i film si assaporano come nel passato, quando la Settima Arte poteva cambiare la vita delle persone o, almeno, la rendeva migliore per qualche ora. Ieri, camicia e pantaloni bianchi, un sorriso sempre accennato sul volto e un sacchetto di noccioline in mano, è stato Emir Kusturica a godere dell'atmosfera di questa piccola manifestazione dedicata al cinema internazionale (in concorso corti e lungometraggi di registi di tutto il mondo) e a rivoluzionare la vita del paesino per una notte di mezza estate, sotto lo sguardo assonnato e incuriosito dei più anziani abitanti di Pisticci. Il regista serbo, Palma d'Oro a Cannes per Underground nel 1995, è l'ospite più atteso dell'edizione 2012 della kermesse, organizzata dalla giovane associazione Allelammie. In programma per il cineasta, scrittore e produttore un'affollata lectio magistralis, e un concerto con la sua No Smoking Orchestra.

Maestro, a cosa sta lavorando e quali sono i suoi progetti futuri?
Ho diretto un episodio di dodici minuti per Talk with Gods, film collettivo sulle religioni e la spiritualità. Vorrei, però, che il corto diventasse, un giorno, un'opera completa. Non mi dispiacerebbe, poi, fare un film su Giuseppe Verdi, da girare tra l'Italia e la Germania.

Ha già in mente un protagonista?
No, ma diciamo che ci stiamo lavorando.

Lei ha iniziato la sua carriera realizzando cortometraggi. Sono spesso presenti nei festival, come questo, ma poco seguiti dal pubblico. Cosa ne pensa?
Non so se sia una questione italiana, è sicuramente un problema comune in tutta l'Europa. Stiamo vivendo una nuova era del cinema, quello digitale. Stiamo chiudendo con il passato e con una certa estetica e purtroppo c'è una tendenza ad uniformare stili e gusti. La gente preferisce vedere la tv e non i cortometraggi, che, invece, potrebbero essere un ottimo mezzo per fare emergere le caratteristiche dei vari paesi che compongono il nostro continente. È necessario, infatti, lavorare a uno stile particolare quando si deve produrre un film che dura pochi minuti.

Il Lucania Film Festival cerca di avere uno sguardo sul cinema internazionale emergente, un modo per viaggiare tra i territori di tutto il mondo. Quanto sono importanti per lei le location e gli spazi in un film?
Lo spazio è, per me, la caratteristica principale del cinema. Viene anche prima del tempo. L'idea del territorio accomuna tutto il mondo cinematografico. Viviamo, però, in un'epoca in cui Hollywood impone canoni estetici come in una sorta di dittatura. Per questo tipo di produzioni, lo spazio non è importante perché lo scopo è realizzare film definiti solo da esigenze di mercato ed è difficile che tocchino questioni più complesse. E questo influisce nel settore. Ho avuto difficoltà immense per fare un film su Pancho Villa in Messico: non si poteva fare perché non era in inglese. Ma come posso girare un film su un personaggio del genere se non in spagnolo?

Cos'è il cinema per Kusturica e perché è diventato regista?
Non credo di essere stato concepito come artista, anzi. Ho scelto il cinema per passione. Sicuramente ha influito la mia vita a Sarajevo. Era difficile andare oltre la linea di confine ed era necessario molto coraggio per sorpassarla. Mia madre non poteva concepire l'idea che suo figlio non volesse finire gli studi, ma quando vinsi la Palma d'Oro a Cannes pianse. In città non potevano credere che avessi realizzato qualcosa del genere.

Cosa pensa del cinema di oggi?
Credo di essere un uomo del secolo precedente. Le cose migliori le ho fatte negli anni '80 e '90. E noto molte differenze rispetto ad oggi. Chi sono gli eroi di oggi? Pensate a un film come Taxi Driver, dove il protagonista è l'antieroe per eccellenza. Sarebbe impossibile produrlo in questi anni. C'è ormai un senso della storia diverso rispetto all'epoca in cui mi sono formato. Un tempo gli autori avevano una vera e propria ossessione per le storie che volevano raccontare. E ci riuscivano. Oggi gettiamo le cose buone in ultima fila e siamo avvolti dalla stupidità. Pensate al caso di Angelina Jolie e del suo film girato in Bosnia. Com'è possibile che le siano stati dati tanti soldi per raccontare un territorio che lei non ha mai conosciuto veramente. E come avrebbe potuto, vivendo la maggior parte del suo tempo in una villa a Beverly Hills?

Perché ha voluto costruire Kustendorf, il villaggio del cinema in Serbia?
Kustendorf è il mio tentativo di aiutare i giovani registi a realizzare e promuovere i propri lavori. L'ho fatto con i soldi che ho guadagnato con i miei film. E, spesso, sono andato vicino alla bancarotta. Ma sono felice che i ragazzi abbiano l'opportunità di confrontarsi con cineasti più esperti. Ricordo ancora i miei brividi, a circa 30 anni, quando incontrai per la prima volta Milos Forman. L'ho realizzata con legno antico. Sapete, nell'Europa dell'Est è difficile vedere al cinema buoni film, come quelli di Aki Kaurismaki per esempio. Si possono trovare solo nei festival. Da voi forse non succede ancora, ma bisogna restare vigili, anche perché il maggior pericolo che vive il cinema oggi è la semplificazione, la banalizzazione. Quando sono stato a Cannes, il mio film era stato scelto tra circa 300 opere. Quando ci sono tornato come giurato, i film erano stati selezionati tra, forse, 2000 lavori. Quantità a scapito della qualità, dove stiamo andando? La difficoltà per i ragazzi è di trovare una via di originalità.

Ma ci sono buoni film in giro?
Sicuramente. Ken Loach fa ottimi film, anche in Italia se ne realizzano di buoni. Ma l'importanza e il prestigio che avevano cineasti del passato come Visconti e Fellini, non sono pari a quella dei giovani autori. Sono messi ai margini del mercato. Quando ero studente, tutti adoravano Fellini, ma non era sicuramente un regista commerciale. Ma la sua influenza era enorme.

Secondo lei, perché Fellini non è mai andato negli Stati Uniti, nonostante i ripetuti inviti?
Perché non conosceva l'inglese (ride). Scherzi a parte, è stato intelligente a non cedere, nonostante sia morto con il rimpianto di non essere riuscito a trovare i soldi per un altro film. Io ho avuto la mia parentesi americana con lo sfortunato Arizona Dream. Stavo insegnando negli Stati Uniti quando mi è stata fatta la proposta e ho colto l'opportunità. Comunque adesso mi ritrovo nella stessa situazione di Fellini perché non riesco a trovare fondi per i miei film e, così, mi sono dato alla musica e ai libri. E ho in progetto di costruire un'altra città come Kustendorf. Il fatto è che non mi riesco a rassegnare a questa filosofia di vita minimalista e uniformata che impera oggi. Credo sia il frutto della società post-capitalista. Pensate che mi danno del nazionalista per il tipo di film che voglio fare. Se Fellini fosse ancora in vita, darebbero nel nazionalista anche a lui perché i suoi lavori erano unici e potevano essere realizzati solo nel suo Paese.

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