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Io, Agatha e i dieci piccoli tamarri

Un'altra fiction italiana.
di Agatha Christie

Agatha Christie 15 settembre 1890, Torquay (Gran Bretagna) - 12 Gennaio 1976, Wallingford (Gran Bretagna).

giovedì 28 luglio 2011 - Focus

Come premessa ringrazio MYmovies che mi ospita. E rilevo ancora il gradimento per i miei interventi. E dico che io stessa mi diverto a immaginare storie legate all'Italia. Siete un contesto dalle infinite possibilità. Tutte le vostre televisioni come tribunali. E poi la vostra politica. Contesti ricchi e ghiotti. Certo molto diversi da quelli che erano i miei, ma proprio per questo affascinanti come sfide. Dunque, adesso, un'altra fiction italiana. Il meccanismo di questa storia sarà la stessa di uno dei miei racconti più conosciuti, "Dieci piccoli indiani". Milioni di libri, migliaia di rappresentazioni.

Un promemoria: dieci persone, molto diverse fra loro, ricevono un misterioso invito. Saranno ospitate in una magnifica magione su un'isola. Non si conoscono fra di loro e non conoscono il proprietario. Tutti accettano. In ciascuna camera, sopra il camino è incorniciata una filastrocca. Ecco i primi versetti: Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar: uno fece indigestione, solo nove ne restar. Nove poveri negretti fino a notte alta vegliar: uno cadde addormentato,otto soli ne restar. Otto poveri negretti Se ne vanno a passeggiar: uno, ahimé, è rimasto indietro, solo sette ne restar. Sette poveri negretti... e così via.
Il padrone di casa è assente, ma durante una cena fa ascoltare un messaggio registrato su un grammofono. Si rivela che ciascuno degli ospiti è un assassino. E verrà punito.
Gli ospiti vengono assassinati uno ad uno. And Then There Were None, E poi non ne rimase nessuno.

Dunque, non indiani ma tamarri. È un termine così in voga nel vostro circuito mediatico. E non solo, anche di sostanza. I "dieci" sono personaggi, sono supervip, che fanno parte di quel circuito. Vengono invitati con una raccomandata nel castello di Nigger Island, isola a pochi chilometri dal Devon. Inghilterra. Riceveranno il premio Sognoosondio, il più alto riconoscimento professionale mai attribuito. A un modellino d'oro del falcone maltese –quello fatto della materia dei sogni- sarà allegato un ricco assegno, anzi ricchissimo. I dieci accettano. Contrariamente ai miei "indiani" originali, i dieci si conoscono tutti fra di loro. Perfettamente.

Un jet privato li porta a Londra, dove vengono prelevati da un motoscafo che li porta all'isola. A bordo dei due mezzi i dieci si scambiano congratulazioni. Le divergenze di cultura, le diversità di schieramento: tutto viene superato. Approdano sorridenti a Nigger Island. Vengono accolti da un ricevitore compito, che sa quello che deve fare. Il servizio è fornito dal ricevitore e da una cuoca cameriera, sua moglie. Sì, poca gente. I "mediatici" entrano dunque nel castello. Regnerà discrezione e silenzio, i cellulari dovranno essere consegnati.

I tamarri fecero il loro ingresso. Il primo fu Sigfrido Burraco, ottuagenario direttore - di lungo, anzi infinito corso- di Tg di consolidata emittente privata. Collezionista di grembiuli normanni. Secondo, o seconda (c'era dialettica) entrò Dulcinea Ametà. Trans di cultura accreditata, e del tutto quadrata(o): lineamenti, occhi, spalle, ginocchia, tutto. Quadrata(o) anche nella voce. Terzo entrò Jerry Pensieroalto. Cantante eterno, poi attore, poi opinionista intoccabile, cultura da media-inferiore ignaro di propria cultura. Entrò Battista Sonodio, protoconduttore, infallibile, immune intoccabile, dimissionario di direttori, idolo di piazza. Entrò Burro Olandesino, direttore di magazine, ubiquitario sorridente, il gossip in cima al mondo. Entrò Borbone Tristus, scrittore di tragedie, patogeno di tragedie anche su piccolo schermo, depressore furbo-troppo, la-cupola-ci-guarda-tutti. Entrò Diego Lombrosi, il mondo del calcio intorno a lui, giustizia sportiva&ordinaria. Opinionista, di se stesso, ultraconteso. Entrò Sancio Fuciletto, vignettista assaltatore, guastatore. Goliardico vecchio. Entrò Regina Regina, centro copernicano di cultura, sentimento, estetica di giovani belli possibilmente nudi, gap coi genitori, i libri sono di legno. Infine entrò il naufrago&inquilino ignoto, l'abitante di casa e di isole, lo stanco eroe del niente del Truman Show.

Le stanze erano adeguate ai "sognoosiamdei", settestelle. A cena i tamarri vennero avvertiti che l'indomani sarebbero cominciati i riconoscimenti e sarebbero stati raggiunti dal padrone di casa. Ciascuno avrebbe ottenuto il riscontro opportuno. Secondo meriti di tutti naturalmente.
Rientrati in camera trovarono sul piccolo tavolo impero il premio, il Sognoosondio. Il premio era virtuale, altissima definizione ma su un display, era bello, bellissimo, ma non pesava, non si lasciava toccare. Non c'era. "Eccolo" pensarono tutti vedendo il display "domani ci daranno quello vero". La mattina a colazione si presentarono in nove. Mancava il tamarro Burraco, il vetero-direttore. Finita la colazione lo cercarono, qualcuno salì in camera, non c'era.
La prima a preoccuparsi fu Regina. Sigfrido aveva ottant'anni, era, legittimamente, a rischio perenne. Poi Dulcinea vide un'armatura del trecento, pesante, minacciosa, elmo con pennacchio. Era ai piedi di uno scalone. L'elmo era integrale, a proteggere testa e volto. Dulcinea Ametà ebbe un piccolo brivido preventivo, senza una ragione. Forse l'elmo non era proprio in asse. Si avvicinò, con piccola esitazione alzò la visiera e incrociò gli occhi del vetero-conduttore. Il primo pensiero, proprio di getto, diciamo percezione più che pensiero, fu che l'armatura era troppo alta per Burraco. E infatti Sigfrido l'occupava parzialmente. Il corpo non c'era. Toccandosi lo stomaco Dulcinea sollevò l'elmo e la testa del veterano cadde a terra rotolando per due metri. Si fermò a faccia in su, con un bel sorriso e con gli occhi puntati su quelli del trans. E così la seconda percezione della donna/uomo umorista fu, ma cos'avrà da ridere. Poi cadde come corpo di uomo/donna cade.
E così il primo tamarro ebbe il suo riconoscimento. Il resto del corpo non fu trovato, forse perché era piccolo.

(continua)

Di Pino Farinotti

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