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Storia "poconormale" del cinema: puntata 117

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Anna Magnani 7 marzo 1908, Roma (Italia) - 26 Settembre 1973, Roma (Italia). Interpreta Pina nel film di Roberto Rossellini Roma città aperta.

venerdì 3 giugno 2011 - Focus

I grandi titoli
C'è una ragione, non certo l'unica naturalmente, del successo nel mondo del nostro Realismo. Non è improprio chiamarlo "movimento", ma non è neppure esatto in assoluto. L'idea non nasce secondo qualcosa di organico, programmatico, annunciato magari da un manifesto, ma è l'espressione di intelligenze individuali che non avevano fatto riunioni o seminari o congressi preventivi. Si racconta che Vittorio De Sica stesse passando davanti alla fontana di Piazza di Spagna e che Roberto Rossellini fosse seduto sui primi gradini di Trinità dei monti. Roma era ancora occupata dai tedeschi.
«Cosa stai facendo?» Domanda Vittorio.
«Sto preparando un film sulla storia di una donna ammazzata dai tedeschi, e di un prete che fa la resistenza».
«Ma non è un po' pericoloso?»
«Magari sì, ma quando avrò finito non ci sarà più pericolo».
«Gli attori li hai?» Domanda ancora Vittorio.
«Certo, la Magnani e Fabrizi. Ma non sono gli attori il problema, è la pellicola... e tu che stai facendo?»
«Sto preparando un film sui bambini lustrascarpe, gli sciuscià. Ci sto lavorando con Amidei e Zavattini.
«Sarà un capolavoro, Vittorio...»
«Il tuo di più, Roberto.»
È davvero molto probabile che sia andata così. Un incontro casuale in Piazza di Spagna, fra due grandi artisti inventori.

Individuale
Il caso, l'estro individuale, nuove idee estetiche e di contenuti. Dunque più "indicazioni" che movimento o corrente. Il cinema può permetterselo, per la sua natura anarchica e disordinata, che si ribella a collocazioni e definizioni, e sempre pronta a stravolgere i codici. Il concetto è dunque cinematografico e molto italiano.
Con il Neorealismo si dimostra così che ciò che è italiano, funzionale ed esportabile, nasce da un'azione spontanea e individuale. Ciò che riusciamo a fare in cinema non è trasferibile, per esempio, alla letteratura. Dopo il tentativo futurista di inizio novecento, parzialmente impostosi anche fuori dai confini, quando si è trattato di codificare un movimento ci si è fermati alla prima fase, senza produrre nulla di concreto o di artisticamente cospicuo, niente che assomigliasse, come importanza e come internazionalità, al realismo cinematografico. Nei primi anni sessanta un gruppo di scrittori, critici, poeti, studiosi di estetica, si riunirono a Palermo per dare vita al cosiddetto Gruppo 63. L'intenzione era quella di opporsi alla tradizione artistica del primo dopoguerra, e creare vie di avanguardia. Fra i nomi ricordabili, quelli di Edoardo Sanguineti e Umberto Eco. La partenza del nuovo percorso era la dottrina marxista, e una rilettura della sociologia e della comunicazione di massa. Alla fine degli anni sessanta il gruppo si sciolse. Quasi nessun segnale di questo programma attraversò i confini. Ma molti anni dopo, nel 1980, Eco ebbe un grande successo in Italia col suo romanzo "Il nome della rosa". Il successo divenne mondiale dopo che il regista francese Jean-Jacques Annaud ne aveva tratto un film. Il romanzo/film di Umberto Eco è certo uno dei titoli che hanno identificato le due discipline. Uscito dal "63", individualmente, Eco era diventato autore del mondo.

Colta
La cifra dei film del neorealismo era più colta che popolare, anche se le storie erano certamente popolari. I titoli citati sarebbero nel tempo diventati grandi classici della storia del cinema, ma quando uscirono, le sale non si riempivano. Le istantanee di Massimo Girotti in canottiera, di Maggiorani che tiene per mano il piccolo Stajola, della Magnani morta fra le braccia di Fabrizi, erano dunque arte più che botteghino. Ma nel 1949 gli spettatori italiani impattarono con un'immagine molto diversa da quelle citate sopra. Era Silvana Mangano con una maglietta scura attillata, a una parte di cosce nude fra le calze e i pantaloncini. Era la divisa delle mondine. Il film è Riso amaro, il regista è Giuseppe De Santis. Il film possiede minore nobiltà artistica rispetto ai titoli eroici, tuttavia trattasi certo di storia "realista", con in più un quanto di corretto melo che avvicinò, e come, il pubblico al cinema. De Santis portava il sociale, i poveri sfruttati dai ricchi, ma dispensava momenti di dramma spettacolare, amori e tradimenti, un po' di violenza e qualche tocco di morbosità. Gli italiani, soprattutto le italiane, avevano fino allora letto quelle storie nei fotoromanzi, adesso le vedevano al cinema. E Silvana, realismo o no, aveva inventato qualcosa di forte e trasversale, un erotismo tutto suo. E sì, esportabile.

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