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Mario Monicelli. Adesso non c'è più. Come faremo?

L'addio di Pino Farinotti al maestro Mario Monicelli.
di Pino Farinotti

Mario Monicelli 15 maggio 1915, Roma (Italia) - 29 Novembre 2010, Roma (Italia).

martedì 30 novembre 2010 - Celebrities

Quando ho saputo della sua morte ho reagito come se mi fosse mancato un parente stretto, di quelli che frequenti, oppure uno degli amici migliori, di quelli che ti porti al fianco da sempre. E quando ho saputo come è morto non mi sono del tutto sorpreso. Sapevo com'era Monicelli, un uomo d'azione che fa la scelta forte, anzi estrema, uno che non faceva sconti e non faceva prigionieri. Di questi tempi si parla di eutanasia, di difesa della vita. Mario aveva di fronte a sé qualche giorno, o qualche settimana di avanzi. Coma vigile o non vigile, tutte le funzioni che se ne andavano fino a non esserci più. Ha voluto evitarlo. Lui, così forte e vitale, quasi eterno, e inverosimilmente attivo e lucido. Dico che forse va bene così. L'ho conosciuto una volta a una mostra in una galleria di via Fiamma a Milano, dove Chiara Rapaccini, la sua compagna, esponeva dei disegni. Quell'incontro era particolare, un caso più del caso, quasi un piccolo sortilegio. Perché andando in galleria ero passato dall'editore a ritirare la prima copia del mio Dizionario. Sulla copertina di quell'edizione c'era un fotogramma di Gassman e Sordi, soldati nella Grande guerra. Così non c'era bisogno di parole "... quanto l'ammiro maestro, ho visto tutti i suoi film, due, tre volte...". C'era, da parte mia, un attestato di ferro. Certo, non gli dispiacque. Mi disse: "Ma come, fra tutti i film italiani lei ne ha scelto uno mio? E Fellini, Visconti...". Risposi "Ho scelto lei." Più di recente l'ho incontrato a Venezia. Mi ha chiesto dell'ultima copertina del Farinotti. "C'è Heat Ledger nel ruolo di Joker, ma è stata una scelta dell'editore." "Mi sembra un'ottima scelta, di mercato." Mi ha risposto. Ecco, Monicelli non aveva bisogno di fare calcoli di mercato. Alcuni li ha inventati lui, creando generi nuovi. Come la cosiddetta commedia italiana, sappiamo. Ha intuito che il più grande attore drammatico italiano, Gassman, avrebbe anche potuto essere uno dei più grandi comici. Ha inventato una sorta di comicità medievale con Brancaleone, film del mondo, un unicum. E lì si divertì, con Age e Scarpelli, e con lo stesso Gassman, a riscrivere quell'idioma del tredicesimo secolo. Insieme a Dino Risi viene indicato come "grande narratore". È vero, il regista intendeva i film soprattutto come racconto. Sopra ho citato Fellini, che invece è stato artista generale, le sue sono opere oltre il cinema, per estetica, per linguaggio, per tutto. Ma quando Monicelli ha fatto la Grande guerra si è posto, a sua volta, come artista generale. Bastano i fotogrammi di quel film, studiati secondo l'epoca, e secondo l'iconografia di quella guerra. Ogni singolo fotogramma potrebbe riempire un museo. Di recente Monicelli è stato ospite di talk, novantacinquenne aveva l'efficacia e la lucidità di sempre. Dava giudizi perentori, magari estremi, condivisibili o meno. Ma era lui, Monicelli, faceva comunque testo. Come lo ha sempre fatto come autore. Adesso non c'è più. Come faremo?

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