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Tony Manero: Il crocifisso e l'uomo morente

La tragica storia di un assassino non seriale fra discoteca e dittatura.
di Edoardo Becattini

In cerca del mito nel Cile di Pinochet
Alfredo Castro (68 anni) 19 dicembre 1955, Santiago del Cile (Cile) - Sagittario. Interpreta Raúl Peralta alias Tony Manero nel film di Pablo Larraín Tony Manero.

giovedì 15 gennaio 2009 - Approfondimenti

In cerca del mito nel Cile di Pinochet
“Un giorno guardi il crocifisso e tutto quello che vedi è un uomo morente sulla croce”.
Nel culmine della “prova generale” di una misera esibizione di ballo, Raùl Peralta ripete meccanicamente, come in uno stato di trance, le parole con cui in La febbre del sabato sera Frank Manero spiega a suo fratello Tony perché ha perso la fede ed ha intenzione di abbandonare il sacerdozio. Nel film di Pablo Larraìn Tony Manero, quella stessa frase, ripetuta sullo scarno palcoscenico di uno squallido bar-pensione, perde la sua naturale ispirazione religiosa e trova significato su un ambito ben più terreno, tragico e grottesco. Nell'enfasi delle sue parole, questa frase-ponte porta inscritto tutto il rapporto che lega e separa il film di Larraìn all'opera di culto che lanciò la carriera di John Travolta nel 1977. Il "crocifisso" è oggetto da contemplare, figurazione materica di un culto. Il crocifisso è Tony Manero/John Travolta, carismatico protagonista di fenomeno di costume di lunga vita per il popolo delle discoteche, nonché simbolo del tramonto degli anni Settanta. L’"uomo morente" è invece Tony Manero/Raùl Peralta, laido ometto di mezza età che sogna le luci della pista da ballo ma vive da patriarca in una bettola situata nella disagiata periferia di una Santiago del Cile in pieno regime Pinochet.

Regime di imitazione
Con l'aura del fenomeno di culto sociale, l'affascinante sbruffone della working class proletaria di Brooklyn di John Travolta è assurto in breve tempo a icona immortale, grazie anche all'indubbia capacità con cui il film di John Badham si è sincronizzato su una moda nascente e ne ha poi contribuito a plasmare i modi e lo stile secondo un preciso canone. Un modello dal cui fascino non è certo immune il Cile del 1978 ed un degno rappresentante della sua miseria come Raùl Peralta. Estraniato dal contesto in cui vive, Raùl è così vittima di un doppio regime: quello dittatoriale che ha rovesciato il governo democratico nel 1973 ed un secondo "regime di imitazione" che ne è diretta conseguenza. Una sorta di irrefrenabile impulso a sostituire la propria identità svuotata dall'oppressione militare nel nome di un solo, futilissimo, attimo di celebrità derivato dall'incarnare una qualunque divinità del pantheon dell'iconografia yankee, come Chuck Norris o, appunto, Tony Manero.
Tony Manero diviene così la tragedia di un assassino ridicolo, la storia di un mediocre guitto che, di fronte ad un regime che riduce ad una letterale impotenza, vive la necessità di astrarsi e di farsi mattatore folgorante e onnipotente. Un tipo di onnipotenza che solo la popolarità del mezzo televisivo garantisce; o, tutt'al più, la magia realizzante del cinema. Il personaggio straordinariamente interpretato da Alfredo Castro (sospeso fra una recitazione sobria, ermetica, ed il delirio di onnipotenza di un personaggio "paciniano"), è così la vittima feroce di una feroce realtà dittatoriale e di un immaginario troppo distante da essa.
Proprio come i fotogrammi di pellicola da lui sottratta dal cinema di quartiere necessitano di un principio di movimento per animarsi, per prendere vita, così Raùl è realmente vivo solo quando si muove al ritmo frenetico della disco dance. Pedinando Raùl Peralta... All'interno di questo tentativo di evasione/mitizzazione dallo status di uomo morente a poderoso crocifisso (e viceversa), il nostro sguardo segue solo ed unicamente il corpo di Raùl Peralta, assassino tragico e meschino. Della dittatura militare il film non parla esplicitamente, se non in alcune brevi violente incursioni della polizia militare nella narrazione, eppure se ne avverte continuamente il manto grigio, la presenza opprimente.
Esattamente con nel film rumeno 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, il regime di Ceauescu restava presenza opprimente ed invisibile nella storia di una ragazza che aiuta la migliore amica ad abortire in maniera clandestina, in Tony Manero Pablo Larrain delega spesso al fuori campo (o meglio, al "fuori fuoco") la realtà delle zone suburbane di Santiago, lavorando più sulla complessa psicologia deviata di Raùl per trasmettere la fetida atmosfera politica del Cile militarmente occupato. Attraverso una particolare "estetica del pedinamento", di cui il cinema dei Dardenne è forse il più diretto enunciatore (ma anche il già citato film rumeno Palma d'Oro a Cannes 2007 è un importante esempio di questo linguaggio cinematografico prettamente moderno), il giovane regista cileno segue, senza alcun pudore o discrezione, il percorso di Raùl. Un percorso marcato da una serie di violentissimi omicidi perpetrati freddamente, senza alcuna emozione, al fine di ottenere dei miseri beni materiali con cui completare, a poco a poco, il disegno di una mitizzazione, lo statuto di un culto indiscusso, lo stato dell'essere "crocifisso".

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