Loro 1

   
   
   

L'oro...di Sorrentino: la necessità di raccontare il decadentismo di B.

di Giorpost


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mercoledì 25 aprile 2018

Sergio Morra è uno squallido faccendiere che spera di ottenere appalti in cambio di favori sessuali; nella sua Taranto, che ormai gli va stretta, trascorre le giornate tra politici ingordi, cocaina e feste, inviso dal padre onesto ed integerrimo. Sua moglie, egualmente cocainomane, lo supporta nei suoi affarucci, in un rapporto basato sulla reciproca -e consapevole- inaffidabilità. Sergio s'imbatte (per caso?) in una delle api regine che frequentano gli alti papaveri di Roma, e tra questi c'è nientemeno che "lui", e da quel momento, Sergio, pur di dare una svolta alla sua vita, impegna tutte le forze e i suoi averi per arrivare nelle grazie del re. Ma nella Capitale sono in troppi, miliardi, quelli che ruotano attorno alla corte del faraone e allora occorre alzare l'asticella e puntare ancor più in alto, spostandosi in Sardegna, ove "loro" sono distanti e "lui" diventa abbordabile, come un gommone farebbe con un transatlantico.
Lui, altri non è che l'uomo più potente d'Italia, protagonista degli ultimi 20 anni della politica e della tv, il Caimano, il Giaguaro, il Drago. Per alcuni semplicemente il "dottore".
Preso da una crisi di terza età dovuta al cambio di ruolo nella politica e a giocatori che non vogliono passare alla sua squadra di calcio, il dottore deve gestire il difficile rapporto coniugale in cui si trova e per il quale, ormai, non bastano più lusso, gioielli e sorprese ad effetto ma, al contrario, tutto pare sgretolarsi come ali di crisalidi, proprio quelle che (sovente) è solito regalare, sottoforma di bigiotteria, alle api operaie che circumnavigano il suo alveare...

Paolo Sorrentino si rimette in gioco, scegliendo il più difficile dei compiti che rientrano negli oneri di un regista, ovvero raccontare la realtà. Questa realtà si chiama Silvio Berlusconi e l'alveare nel quale questi sguazza si chiama Italia. Loro 1 (Ita, 2018) è la prima parte di un biopic che farà certamente discutere, provocando polemiche feroci per alcuni e accuse per altri. Al netto delle fazioni, chi Vi scrive ha osservato l'opera in maniera distaccata, con un punto di vista quanto più imparziale possa esserci. Ciò che colpisce nella nuova opera del cineasta è l'assoluta libertà espressiva di cui continua ad esserne padrone: la rappresentazione della decadenza che ha preso corpo nel Bel Paese negli ultimi anni è qualcosa che non può lasciare indifferenti. La (grande) bellezza di questo film sta nell'elevato numero di sequenze oniriche che talvolta sfiorano il grottesco, solo apparentemente stridendo con la necessità del racconto; in parte viene da chiedersi perché il regista napoletano abbia scelto questa cifra stilistica, ma solo per pochi secondi: in fondo basta ricordarsi di chi si sta parlando.
Il corpo della donna è esibito come carne da macello, un gigantesco mercato nel quale il messaggio che passa (rispecchiando, purtroppo, la realtà dei fatti) è che il potere si nutre di sesso e il sesso è una delle merci di scambio più utilizzate e adattabili per chi, testuali parole, "non sa fare un cazzo". Il mondo in cui tutto si svolge è un gigantesco lupanare senza inizio ne fine, un circolo vizioso nel quale diviene usuale consumare droghe che disibiniscono, usare la scorta per comprare completini intimi, invitare figli di emiri in tende beduine tra incensi e musiche psichedeliche. Il ritmo pare asfissiante, non c'è un attimo di pausa e il climax lo si raggiunge lentamente grazie alla tardiva entrata in scena di B. nella cui veste troviamo un Tony Servillo in stato di grazia. La politica, in verità, resta sullo sfondo, anche perché siamo negli anni tra il 2006 e il 2010 e il Cav è all'opposizione: il target è quel tarantino (s'intende di fatto, ma forse anche di nome), ottimamente interpretato da Scamarcio, che punta a divenire il principale fornitore di carne del "dottore", un mercante di materia prima atta al compiacimento dell'utillizzatore finale. Le schermaglie interne al partito fondato nel '94 si limitano soltanto alla tentata scalata di tale Santino Recchia, un non meglio identificato ex ministro (ed ex tennista) che si fa ricattare proprio dalla moglie del tarantino -di fatto- per un capriccio da tredicenne. Il resto è spettacolo, musica ricercata, corpi nudi come se piovesse e personaggi "divini" che, almeno per ora, non gettano la maschera (o l'asciugamano).
Retorica (e Apicella) a parte, Sorrentino spiazza anche grazie ad un incipt straordinario nel quale vediamo una pecora smarrita entrare nel soggiorno di una "certa" Villa, quasi a schernire e deridere un'intero popolo che per anni si è accodato al fascino del drago a mò di gregge. Per un attimo ho pensato persino che l'autore stesse omaggiando Philip K. Dick... Ma la pecora non è l'unico animale presente in scena in quanto, ad un certo punto, intravediamo un enorme topo (che in napoletano si chiama "zoccola") capace di buttare fuori strada il pattume umano di cui il nostro paese si è reso protagonista, in un'epica sequenza nella quale scende la pioggia, ma di rifiuti. Il regista partenopeo sembra essere molto informato su fatti anche della sfera privata del Cavaliere, persino sui nomi di quei -pochissimi- che "gli danno del tu". E proprio la giostra (c'è pure quella) del loro/lui/tu alla fine cade su lei, la moglie, la duchessa affranta che soffre la solitudine di un numero primo, che resta tale mentre il drago numericamente accumula "conquiste" perdendo di vista quella donna -e madre- per la quale aveva perso la testa 25 anni prima. Il profilo berlusconiano è pressocché perfetto e la prova di Servillo sfiora il capolavoro; c'è tutto il compendio di fatti noti dell'ex premier: l'attenzione al trucco, la tipica capigliatura (bandana compresa), la camminata leggermente inclinata, i rialzi nelle scarpe, per i quali Sorrentino ha prodotto una scena di ragguardevole comicità allorquando vediamo il vanitosissimo B. uscire fuori quadro. La performance di Servillo è istrionica, rasenta l'imitazione e ci consegna un uomo che ha sempre la battuta pronta, che scherza col nipote, che chiama Putin "il capo" della Russia, che cade sempre in piedi, anche quando calpesta la cacca, un po' come sarebbe avvenuto per la famigerata nipote di Mubarack...

In attesa del secondo capitolo, posso affermare che la pellicola sorrentiniana, che ha il difetto di promuovere a dismisura il nudo (ma, ripeto, ricordiamoci di chi si parla) ricorda, per brevi tratti, alcuni film del suo idolo Scorsese; l' autore de Le conseguenze dell'amore, di Youth e This must be the place è in forma, e si vede. E si conferma il regista italiano più grande del momento.

Voto: 8,5

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