Somewhere

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Un film di Sofia Coppola. Con Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Simona Ventura, Nino Frassica.
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Drammatico, durata 98 min. - USA 2010. - Medusa uscita venerdì 3 settembre 2010. MYMONETRO Somewhere * * 1/2 - - valutazione media: 2,92 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il racconto del cinema Valutazione 3 stelle su cinque

di lili_k


Feedback: 446 | altri commenti e recensioni di lili_k
giovedì 23 settembre 2010

Il primo pensiero inevitabile che si ha guardando l'ultimo film di Sofia Coppola va a Lost in translation, per varie cause: la location, un albergo e la poca vita che si sviluppa aldifuori di esso, la vita a due di una coppia non coppia, lì Bill Murray e Scarlett Johannson, quasi amanti, qui Elle Fanning e Stephen Dorff, figlia e padre.

La dinamica di coppia è sempre la stessa: cercare in due di sfuggire alla monotonia che altrimenti è la vita di uno solo. Situazione rappresentata dal piano fisso su macchina che si muove in circolo dell'inizio e sulla ripetitività delle azioni che in quanto tali, perdono anche l'alone di trasgressione che normalmente le accompagna.

Questo film si distacca però dal suo predecessore per il soggetto finale del racconto: in Lost in translation si descrivevano due vite in cambiamento che per caso incappavano l'una nell'altra, in questo, la vita del protagonista è perfettamente risolta, si cerca piuttosto di descrivere in un modo nuovo, il mondo in cui quest'uomo di muove.

La vita di Johnny Marco è prevalentemente noiosa, almeno per noi che la vediamo dal suo punto di vista, nessuno lo vede mai come essere umano, ma solo come il famoso attore da cui andare a fare una festa oppure con cui andare a letto. Le giornate sono scandite dal nulla o dalle telefonate dell'agente che gli ricorda gli impegni.

Ad un certo punto entra in gioco sua figlia Cloe, che però non è un motore per la moralità, ossia, non fa in modo che Johnny da quel momento inizi a mettere in questione il suo stile di vita, ma è un elemento che lo lega alla realtà, al suo essere un essere umano probabilmente poco maturo.

I due vivono in questo limbo che ha i ritmi dello showbusiness, che non è la vita normale della maggioranza delle persone, e che è rappresentato fisicamente dallo Chateau Marmont, l'albergo-rifugio dove i due passano le giornate.

Tanto è che nel momento in cui la vita vera (o lo shit happens con cui i comuni mortali hanno sempre a che fare) entra in gioco, una macchina che si rompe, Johnny si chiede perplesso cosa fare.

Certo, un cambiamento c'è, o il personaggio vuole che ci sia così nelle ultime sequenze lo vediamo diventare attivo e andare, da qualche parte.

 

Fino a qui la disamina dei personaggi, ma aldilà della solita cura per le inquadrature, la Coppola in questo film vuole fare un discorso sul cinema, diverso da quello che fa chi il cinema lo ha studiato, piuttosto chi, volente o no, lo ha vissuto.

La prima parte del film è come una confessione della noia che permea questo mondo, dei tempi morti lunghissimi che lo caratterizzano e la struttura che sta dietro il glamour (per fare degli esempi: Johnny Marco che deve salire su di uno scalino per essere almeno alto quanto la sua partner durante un photocall o la seduta agli effetti speciali).

Un altro film, 50 anni fa, descriveva lo showbusiness in maniera un po' più godereccia e compiaciuta, anche se critica: La dolce vita di Federico Fellini.

Nella scena finale Mastroianni, appena uscito da una festa per assistere al ritrovamento di un pesce mostruoso sulla spiaggia, vede una ragazza che ha incontrato tempo prima, sempre in spiaggia. Lei non appartiene al mondo dello spettacolo e non cerca di entrarci. I due sono ad una certa distanza e tra di loro c'è una specie di fossato per lo scarico dell'acqua. La ragazza cerca di parlargli, ma lui non sente, complice il rumore del mare. Come ci insegnano al Dams, con questo Fellini vuole descrivere la distanza tra questi due mondi, sorvolo sulla scelta dei colori dei vestiti usati in questa scena per tenere dentro la norma il livello di nerditudine.

Una scena molto simile chiude la parentesi di normalità, data dalla presenza della figlia, nella vita di Johnny Marco: lei se ne va, lui cerca di dirle qualcosa, ma il rumore dell'elicottero copre ogni suono.

Il fascino di questo film è tutto qui, ed è anche il suo errore, visto che molti discorsi, che vengono riconosciuti da chi è un addetto ai lavori o un critico o un cinefilo, non sono poi così interessanti per tutti, insomma non si tratta di Effetto notte. La Coppola cerca insomma di far vedere quello che la macchina cinema è, senza gli imbellettamenti che siamo abituati a vedere.

Oltre tutto il suo protagonista è un attore di film d'azione, non certo di film indipendenti o impegnati, che quanto meno avrebbe avuto almeno un paio di party in più da seguire, rispetto a quelli che vediamo, quindi è più che evidente che si stia facendo un discorso intellettuale avendo come oggetto chi non lo è (Marco non ha fatto corsi di recitazione, ha solo preso un agente e fatto dei provini, scopriamo ad un certo punto).

Il film non è sul personaggio, ma è sul mondo in cui il personaggio vive, il che giustifica il suo essere passivo, per tre quarti di film; è parte di un mondo che essenzialmente lo fa lavorare.

Per questo non ci sono parabole evolutive o epifanie, Johnny Marco è il veicolo attraverso il quale fare un discorso sul cinema.

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