Titolo originale | Gongjak |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 141 minuti |
Regia di | Jong-bin Yoon |
Attori | Hwang Jung-min, Sung-min Lee, Jin-woong Cho, Ju Ji-hun, Kim Hong-pa Jeong Sori, Ju-bong Gi, Eung-soo Kim, Yong Chae, Park Jin-young (III), Seung-ik Baek, Kwon Bum-taek, Ji-Heon Cha, Byung Mo Choi, Jung-in Choi, Kim Hyeon-Ok, Han Soo Hyun, Seung-bae Jeong, Joo-hee Jo, Kim Jong-soo, Gi-sub Jung, Gyoo-nam Kim, In-woo Kim, Ji-na Kim, Jong Tae Kim, Kwang-Hyeon Kim, Yong Seok Kim, Jin-seok Kwak, Ja-hyeong Kwok, Kim Kyu-baek, Han-Na Lee, Hyo-ri Lee, Sang-won Lee, Moo-Je Min, Moon-cheol Nam, Kyung-Hwa Oh, Hye-Yeong Park, Hyeok-min Park, Kyeong-Chan Park, Min-soo Park, Won-Hee Park, Yeong-Woong Park, Sung-Hyun Ryoo, Joo-Yeon Seo, Seung-joon Lee, Darin Shaw, So-jin Kim, Kim Soo-yun, Seo Suk-Kyu, Sung-woong Park, Hyun-min Yang, Dae-Yeol Yoon. |
Tag | Da vedere 2018 |
MYmonetro | 3,49 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 29 marzo 2019
Un agente segreto sudcoreano si trova coinvolto in pericolosi giochi politici.
CONSIGLIATO SÌ
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1993. Il programma nucleare della Corea del Nord genera inquietudine al di là del 38° parallelo. I servizi segreti sudcoreani decidono così di infiltrare oltreconfine l'agente segreto "Venere nera", ovvero l'ex ufficiale Park Suk-young, camuffandolo da uomo d'affari. A Pyongyang Park arriverà a sedersi al tavolo del leader supremo Kim Jong-il, ma finirà per scoprire che lo scacchiere politico delle due Coree è più complesso e ambiguo di quanto sembri.
Un impianto apparentemente tradizionale, che passa dalla scelta di un genere consolidato, da una sceneggiatura di ferro e ricca di colpi di scena e dal rispetto della suddivisione della sceneggiatura in tre atti, nasconde invece un'opera piena di sorprendenti "prime volte".
Nelle mani di Yoong Jong-gin - già regista di un'altra "anomalia di genere" come Nameless Gangster - la spy story tra Nord e Sud in stile John Le Carré diviene infatti l'occasione per raccontare altro, nonché un eccellente pretesto per sfruttare un clima di distensione impensabile anni fa (le sequenze ambientate a Pyongyang sono comunque girate a Taiwan con copioso uso di computer grafica). Anziché su trame alla James Bond, l'accento è posto sulla caratterizzazione dei personaggi: una spia che si traveste da uomo d'affari diviene il dispositivo che Yoong usa come un grimaldello, per scardinare i canoni di un genere di cui il cinema sudcoreano ha abusato. The Spy Gone North ci consente così di vedere qualcosa che prima potevamo solo immaginare - i palazzi del potere di Pyongyang, la messa in scena del corpo e del volto del dittatore Kim Jong-il (interpretato da Gi Ju-bong) - senza cedere a tentazioni da fantapolitica alla Steel Rain e mantenendo ben saldo l'impianto morale sotteso alla storia.
Lo sguardo ironico e tragicomico sulla corte di Kim, o quello annebbiato dalle lacrime di fronte alla miseria del suo popolo, sono un dato acquisito. La rivelazione sta invece nel durissimo atto d'accusa dell'ultimo atto, che approfitta del parallelismo tra la situazione politica presente e quella del 1997 - anno del primo governo di centrosinistra della storia sudcoreana - per denunciare la connivenza invisibile e la comunanza di interessi tra gli elementi più reazionari e corrotti del Sud e gli oltranzisti del Nord comunista. Quello di Suk-young diviene così lo sguardo stupito dello spettatore, che si apre a una realtà sordida e complessa attraverso l'esperienza del viaggio, della conoscenza dell'altro, della rimessa in discussione del pregiudizio. Nonostante la lunga durata e la natura quasi esoterica di molti riferimenti alla politica coreana, infatti, il ritmo impresso da Yoong avvince inesorabilmente. La lezione del cinema di denuncia della New Hollywood e il meccanismo a orologeria tipico di pellicole come I tre giorni del condor o Tutti gli uomini del presidente vengono adattati in maniera esemplare alla realtà politica coreana, con una punta sapida di commedia satirica. Un cocktail che sarebbe impossibile da bilanciare senza la performance di Hwang Jung-min, ancora una volta (Veteran, Ode to My Father) straordinario mattatore, un camaleonte della recitazione e un caleidoscopio di sfumature differenti.