Titolo originale | Untitled |
Anno | 2017 |
Genere | Docu-fiction, |
Produzione | Austria, Germania |
Durata | 103 minuti |
Regia di | Michael Glawogger, Monika Willi |
Attori | Nada Malanima, Birgit Minichmayr, Fiona Shaw, Robin A Townsend . |
Uscita | giovedì 19 aprile 2018 |
Tag | Da vedere 2017 |
Distribuzione | ZaLab |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,28 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 20 aprile 2018
Un'opera che intende mostrare il mondo a cui si può dare vita quando ci si affida semplicemente all'istinto e alla propria curiosità. In Italia al Box Office Untitled - Viaggio senza fine ha incassato 4,9 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Nel 2014, durante le riprese delle sue esperienze di viaggio, il documentarista austriaco (fotografo, direttore della fotografia, scrittore) Michael Glawogger muore improvvisamente di malaria, in Liberia, nel 2014, a 54 anni. La sua storica montatrice Monika Willi rielabora il girato del regista, la cui idea iniziale era viaggiare per un anno e filmare senza un tema precostituito: Ungheria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania, Italia, Marocco, Mauritania, Senegal, Guinea Bissau, Guinea, Sierra Leone. Fino alla Liberia, ad Harper, città fantasma dilaniata dalla guerra civile e affacciata sull'Atlantico, con il desiderio di scomparire. Al principio documentaristico dell'invisibilità della macchina da presa - ma senza che sia un dogma assoluto - si affianca gradualmente il motivo della volontà del regista di annullarsi nella realtà e l'idea di un destino che lo abbia condotto fino a quell'estremità di mondo, per passare a (chissà quale, anche se il film si apre su un enigmatico Hotel Eden) altra dimensione.
Dal suo memorabile Workingman's Death, in Orizzonti alla Mostra di Venezia nel 2005, era già emersa con chiarezza la sensibilità fuori dal comune di Glawogger nel cogliere la terribilità e la bellezza della Natura, la sua relazione con l'uomo, il senso del tempo, "al lavoro" appunto sulla materia.
La sua capacità di costruire immagini potenti ma mai estetizzanti, in un affascinante equilibrio tra osservazione meccanica - e della meccanica ripetitività dei gesti - e associazioni liriche.
Alle immagini dell'operatore Attila Boa, Willi giustappone poche didascalie e alcuni estratti dai diari del regista: testi tra l'intimo e il filosofico, interpretati con ruvido stupore da Nada Malanima (nella versione originale da Fiona Shaw). Parole che suonano come una guida per lo spettatore, nel viaggio in un montaggio per accumulazione, privo di centro, programmaticamente randomico: «il più bel film che potevo immaginare era un film che non si fermasse mai», scrive.
Le ellissi di uno stormo di uccelli, il vento che corre tra la sabbia del deserto, il fuoco che mangia la savana con lentezza implacabile, i treni merci che attraversano il nulla, il buio peculiare dei villaggi africani, i corpi nella sabbia dei lottatori. E poi il lavoro umano: la pesca, l'estrazione dei diamanti, il taglio della legna, ma anche il trasporto dell'acqua, il setaccio delle discariche in cerca di qualche piccolo tesoro. Le tracce delle guerre dimenticate di vent'anni fa, sulle case e sui corpi. Su tutto, il senso di una globalizzazione dagli effetti polizieschi, tossici, violenti, la necessità di una palingenesi umana e tecnologica, l'immaginazione di un mondo in assenza di luce artificiale.
Un commiato, rielaborato a partire da blocchi grezzi di pedinamenti, che lascia allo spettatore un'enorme, felicissima libertà di interpretazione: del viaggio come metafora dell'esistenza, del pianeta Terra come teatro della devastazione dell'uomo, in cui solo gli animali paiono avere non solo una dignità ma quasi una statura morale. Un film testamento anticonvenzionale, sulla "ragione stessa del viaggio: viaggiare", accompagnato dallo score dissonante e mercuriale di Wolfgang Mitterer che invita all'apertura all'Altro da sé, alla casualità degli eventi. Un'opera che non si preoccupa di far accadere qualcosa davanti alla macchina da presa, piuttosto di seguire altri compagni di percorso, su ogni mezzo possibile. Ad abbandonare l'ossessione occidentale per il controllo: delle risorse, della vita, per prima la propria. «La maggior parte degli addii è inutilmente teatrale, perché presto o tardi ci rincontreremo. E se non è così, al momento dell'addio non lo sapremo».
Tre dicembre 2013, il giorno della partenza. Austria, Ungheria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania, Italia, Marocco, Mauritania, Senegal, Guinea Bissau, Guinea, Sierra Leone, le tappe di un lungo e rapsodico itinerario. Liberia 22 aprile 2014 la fine improvvisa del viaggio. Quel giorno il regista Michael Glawogger muore di malaria.