Mai così vicini e il filone della terza età.
di Roy Menarini
Che dire di Mai così vicini? Che Rob Reiner, dopo tanti anni, sembra aver guardato a Harry ti presento Sally per tornare a parlare di amicizia, amore e sesso, ma dopo i sessanta. Mostrando i suoi protagonisti, vedovi, alle prese con l'inaspettato ruolo di nonni e contemporaneamente con il desiderio reciproco, ha accostato due emozioni apparentemente stridenti e opposte, per conciliarle con ironia e buon gusto.
Con un Michael Douglas tornato in grande forma, e giustamente rimpolpato dopo le magrezze dovute alla brutta malattia, quasi impossibili da celare persino per il cinema degli anni Duemila abituato a mille correzioni digitali, Mai così vicini funziona per la sua misura, e per quella sorta di "orribile verità" - per citare McCarey - che la migliore commedia deve saper affrontare.
Tuttavia, al di là di una riflessione diretta sul film (altrove perfettamente analizzato), Mai così vicini ancora una volta suggerisce qualcosa dell'immaginario cinematografico. Piccolo allargamento di prospettiva: il cinema americano contemporaneo sembra ormai vivere di soli opposti, da una parte il blockbuster e dall'altra il cinema indipendente o semi-indipendente. Le serie televisive sembrano aver risucchiato tutta la creatività che abitava nel cinema "medio" e nei generi più tradizionali. Con una sola eccezione: il cinema della terza età. Questa è la vera novità degli ultimi anni, e non può certo rappresentare una sorpresa. Mentre nel cinema degli anni Ottanta e Novanta, agli ex-divi si facevano per lo più interpretare parti secondarie, talvolta elogiatissime e persino premiate dall'Oscar, ma quasi sempre ornamentali, ora invece si invecchia insieme al proprio pubblico. Non è un mistero (né risulti offensivo affermarlo) che a questi film corrispondono pubblici maturi quanto i personaggi in scena.
E qui entrano in gioco scienza e natura. Con l'allungamento dell'età media della vita e il miglioramento delle condizioni di salute degli anziani, il cinema - in crisi presso le audience minorenni - si allea alle fasce più attardate della popolazione. Gira film con loro, per loro e su di loro. Talvolta sfidando i tabù, come in questo caso o nell'ottimo, e malamente sottovalutato, Il matrimonio che vorrei, che affrontava direttamente la sessualità tra i sessanta e settant'anni. Una commedia dell'infinito ri-matrimonio, dunque, con lunghe vite alle spalle e continue allusioni alle carriere precedenti, dove il cumulo dei ruoli interpretati viene frullato, e poi servito tiepido agli spettatori che ne hanno (letteralmente) viste tante.
E a quel punto, come si può avercela con questo cinema che fa barriera allo scorrere del tempo e che (si) allunga la vita insieme al suo pubblico dai capelli bianchi? Fermare il tempo, o rallentare insieme a lui, non è sempre stata la prima qualità del mezzo cinematografico fin dalla sua nascita?