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Due personaggi senza storia

The Master e la sottovalutazione del racconto.
di Roy Menarini

Il film ha vinto il Leone d'argento per la regia e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile di Joaquin Phoenix e di Philip Seymour Hoffman. In foto una scena del film.
Joaquin Phoenix (Joaquin Raphael Phoenix) (49 anni) 28 ottobre 1974, San Juan (Portorico - USA) - Scorpione. Interpreta Freddie nel film di Paul Thomas Anderson The Master.

domenica 6 gennaio 2013 - Approfondimenti

Circondato da lodi abbastanza unanimi, il nuovo film di Paul Thomas Anderson è ridimensionato da una nicchia agguerrita di critici, che non sembrano convinti di aver assistito al capolavoro annunciato. Tra di loro, almeno due giganti della critica americana. Richard Corliss, del Time Magazine, analizza The Master fondamentalmente come un film sbagliato per il fatto che scarta via via le opzioni narrative più importanti (l'ossessione per il sesso nel protagonista, la descrizione della setta La Causa, etc.) per concentrarsi sui due protagonisti, i quali peraltro si trovano in uno scacco ossessivo, tanto è vero che uno dei due - Lancaster - non subisce alcun cambiamento dal rapporto con Freddie. Roger Ebert (talmente noto negli Usa che Martin Scorsese sta realizzando un documentario su di lui), ammette che The Master lo ha in qualche modo affascinato ma che di enigmaticità si può anche soccombere, e che all'ennesima scena-madre senza spiegazione (l'escursione in motocicletta nel deserto) ha alzato bandiera bianca. Entrambi si chiedono: di che diavolo parla questo film?
La domanda parrà ingenua, e tipica della critica americana, molto pragmatica. Eppure, ci si chiede se non sia il caso di indossare proprio questi occhiali per osservare l'ambiziosissimo progetto andersoniano. Il problema di The Master, fondamentalmente, è Il petroliere. Ciò che là era esemplare, qui è semplicemente progettuale. Ciò che appariva in quel caso tempestivo, sembra ora inconcludente. I temi del film precedente erano già tutti in gioco: una nazione immatura, un capitalista senza scrupoli, un'alleanza tra petrolio e religione, narrata nel contesto extracinematografico della guerra in Iraq e del post-11 settembre. La religione, intesa come culto, torna protagonista; cambia lo scenario, che diventa quello degli anni Cinquanta post-bellici, ma nessun'altra intenzione simbolica di Anderson emerge sensatamente. Non è un caso che le interpretazioni intorno a The Master si costruiscano per lo più su inferenze pindariche: la seduta psicanalitica di una nazione, il confronto metaforico tra due Americhe (ma quali?) incarnate dai protagonisti, il ritratto storico, il citazionismo (tutto ruota intorno a Il figlio di Giuda di Richard Brooks), l'attrazione omoerotica tra Lancaster e Freddie, e così via. A forza di alludere e suggerire, Anderson non ha raccontato nulla. Ha costruito un castello di simbolismi di ogni tipo, lasciando uno spazio enorme all'isterico confronto tra caratteri, e infine ha dimostrato di non avere un vero focus narrativo - tanto da non saper nemmeno come concludere la storia. Un film pieno di "valori artistici", dalla recitazione ai virtuosisimi di regia, dalle citazioni al reparto scenotecnico, dalla fotografia alla colonna sonora, senza altro da donare se non la propria gigantesca ambiguità. Può bastare? Lo sarebbe se non ci fosse stato appunto Il petroliere, che è The Master venuto bene, un film in cui le dissonanze e le oscurità venivano incanalate dal potentissimo romanzo di Upton Sinclair da cui Anderson, capace di un mirabilissimo adattamento, aveva succhiato ossa ed energia fino ad appropriarsene con gesto visionario. Qui, senza Sinclair, rimane l'esoscheletro di un'ossessione, e l'immodestia di un cineasta che non ha una vera storia da narrare. Per un grande regista americano, la più imperdonabile delle vanità.

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