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Il 3D a regola d'arte

Per Transformers 3, Michael Bay chiede aiuto a Cameron.
di Gabriele Niola

Una scena d'azione del film Transformers 3 di Michael Bay.
Josh Duhamel (Joshua David Duhamel) (51 anni) 14 novembre 1972, Minot (North Dakota - USA) - Scorpione. Interpreta Il maggiore William Lennox nel film di Michael Bay Transformers 3.

lunedì 27 giugno 2011 - Making Of

Transformers 3 è stato più difficile da girare di Avatar". Possibile? Non starà esagerando? "No. James Cameron dopo Titanic si è preso 12 anni per studiare il suo film e poi l'ha realizzato in 5. Noi abbiamo dovuto fare qualcosa di leggermente più complesso rispettando tempi di lavorazione e budget di un normale blockbuster, cioè 22 mesi". Chi parla è Lorenzo Di Bonaventura, produttore di grandi blockbuster ultimo dei quali il nuovo punto di riferimento del cinema 3D firmato da Michael Bay: Transformers 3.
Il nuovo film dei robottoni Hasbro ha il compito non facile di riconquistare il cuore degli spettatori delusi da tanti film in cui la terza dimensione era fasulla, farlocca, ingannevole, inesistente e pretestuosa. Per farcela, alla Paramount sono tornati ai fondamentali, cioè da Cameron che ha fornito mezzi, software, equipment, troupe e know-how. Michael Bay però aveva due problemi che non si erano mai presentati al regista di Avatar: uno stile ipercinetico che non è buono per il 3D e girare nel mondo reale e non davanti ad un green screen.

Cosa si può e cosa non si può fare con il 3D
Transformers 3 sarà dunque il primo film a fare un uso serio e reale del 3D, girato in gran parte in esterni reali, con tutti i problemi del caso. Per girare in 3 dimensioni, infatti, ad oggi si usano due videocamere, tenute una accanto all'altra da un rig, cioè un sostegno, che le accosta ad una distanza che simula quella degli occhi. Una camera è l'occhio destro e una è l'occhio sinistro, la distanza tra di loro si regola a seconda di quanta profondità si vuole.
In esterna capita quindi che una camera veda cose che l'altra non vede, perchè spostata di poco a lato, o che la luce colpisca una diversamente dall'altra per lo stesso motivo. "Queste discrepanze" spiega Di Bonaventura "creano dissonanza e danno fastidio alla visione 3D, quindi vanno corrette. Di continuo". Aggiustamenti che sono sia di regolazione delle camere sia di postproduzione digitale. Un processo lungo che è stato appaltato ad uno studio selezionato dopo 7 mesi di ricerche.
"James ce l'aveva detto di non ascoltare nessuno, quello che può o non può fare il 3D bisogna scoprirlo da soli", però è vero che non è ancora adatto a carrelli troppo veloci o a scene dal montaggio troppo serrato. "Vero, Michael ha dovuto rinunciare ai suoi camera car e rallentare un po' il suo stile. Però, per ogni limite incontrato scoprivamo anche cose in più che non sapevamo si potessero fare, come il 3D con camere a mano o addirittura un piccolo rig con microcamere montate sul casco di un paracadutista con la tuta alare!".

60% di 3D nativo, 15% di digitale e per il resto, pellicola!
"Il punto è che il sistema di Cameron non era fatto per fare le cose in fretta, con i tempi di una produzione normale" così Di Bonaventura comincia a spiegare che Transformers 3 è il primo film ad utilizzare davvero il 3D stereoscopico e a sperimentarne il processo allo stato dell'arte per un film prodotto industrialmente.
"Abbiamo dovuto inventare da zero il processo attraverso il quale passare dal girato al montato, passando per il rendering e i VFX tutto in 3D", soprattutto perchè Transformers 3 non è stato girato tutto interamente in 3D (ma del resto nemmeno Avatar). Le scene in cui sono state utilizzate due videocamere costituiscono il 60% del film, poi c'è un altro 15% di scene girate in digitale e poi fatte diventare 3D in postproduzione ("ma con un processo serio e costoso, non a buon mercato" precisa Di Bonaventura) e il resto, ci si voglia credere o no, è stato girato in pellicola.
Il motivo è semplice, da sempre Michael Bay usa la celluloide per le riprese dei volti. Convinto che nessun supporto digitale possa ancora battere la buona vecchia pellicola quando si tratta di close-up, il regista del cinema dell'avanguardia tecnologica dunque usa sempre quella che chiama "B camera" (rigorosamente alimentata a celluloide) per il "face work", cioè i primissimi piani.

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