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Io sono l'amore di Guadagnino con Tilda Swinton

Buona la premessa: film per niente "italiano".
di Pino Farinotti

Una storia milanese

mercoledì 17 marzo 2010 - Focus

Una storia milanese< /br> Il film di Luca Guadagnino è già passato ai festival di Venezia, Toronto, Pusan in Corea, al Sundance e al Lincoln Center. Venerdì sarà nelle sale italiane. Milano ha anticipato, nel quadro dell'attenzione che l'assessore alla cultura Massimiliano Finazzer Flory dedica al cinema. Nello spazio di un mese la città ha ospitato Tom Ford, Patrice Chereau, Michele Placido e Liliana Cavani. Davvero gente importante.
Ero alla prima di Guadagnino, ho incontrato i protagonisti. La Swinton (Orlando, Vanilla Sky, Michael Clayton) è, d'impatto, qualcosa di più di un' attrice, è una di quelle-con-la grazia. Diafana, altissima, necessaria/sufficiente. E regge quasi tutto il film. Ha tanto creduto in questa storia milanese da investirci dei soldi. Si racconta dei Recchi, ricchi, semi-nobili industriali del tessuto. La location è villa Necchi Campiglio, fra le più prestigiose in città. C'è il patriarca ( Ferzetti) decrepito ma che dice ancora la sua, da capotavola.
C'è il figlio maggiore Tancredi, rigido, quasi ottuso, copia sbiadita del padre, e c'è Emma, la Swinton, conosciuta in Russia, sposata, inserita nella dinastia. Hanno tre figli, Elisabetta, Edoardo e Gianluca. Tutta gente educatissima, perfetta. Parlano sempre di se stessi e del loro ambiente. E poi ricchezza: arredi, domestici, cuochi, approdi nel mondo, preferibilmente Londra. Poi Elisabetta si innamora di una ragazza, lo dice alla mamma, sin troppo dolcemente. Ed Emma accetta, sin troppo dolcemente. Edoardo, il più sensibile, sarà l'erede, si sposa. Irrompe Antonio, un cuoco dalle fattezze mediorientali. Seduce Emma fra i boschi sopra Sanremo. Ma è amore. Il disagio, la decadenza sospesa, la noia, forse l'eco della prima vita, sparigliano tutto, mettono a nudo la madre. Edo, che beatifica la mamma, scopre tutto, reagisce con violenza "non esisti più per me", scivola, batte il capo, muore. Il dolore, il più alto, piomba inatteso, su tutti, in pochi secondi. Ma Emma ha elaborato, non sopporta più niente. Confessa al marito l'amore per l'altro, lui le dice "tu non esisti".

Milano
G uadagnino indossa Milano, per molti versi. Estrae le parti artistiche che danno identità a una città perfettamente triste per il cinema. I palazzi alti, quelli antichi, il Monumentale, i giardini, i meandri esterni del Duomo. Alla prima c'erano milanesi dai nomi antichi o importanti: Giangaleazzo e Violante Visconti, Piero Castellini – presenti anche nel film con piccoli ruoli- e poi Marta Brivio Sforza, il ministro La Russa, Pomodoro, Sotis, Rampello, Modenese, Tatò, gli Alberoni. Fra gli altri.
E naturalmente il promotore Massimiliano Finazzer Flory, che ha detto:"Io sono l'amore è prima di tutto una dichiarazione del regista nei confronti di Milano, un'opzione di libertà individuale contro una falsa modernità e una cattiva borghesia, che hanno tradito quella pulsione erotica verso un'estetica non fine a se stessa. Le musiche di John Adams, i costumi, la fotografia, le scene d'interni, la Milano innevata, si affiancano, provocandoci una sana inquietudine. Straordinaria Tilda Swinton".

Inserto
E qui è opportuno un inserto sull'assessore Massimiliano. Sta facendo di Milano una delle città leader di cultura d'Europa. Certo, prima, non lo era. Finazzer proviene dalla letteratura (Rizzoli) ma ha saputo aggregare tutte le culture e le forme d'arte, è un precedente. Ha anche saputo usare il "modello di se stesso" per rappresentare le opere. Ha recitato Borges e Rilke, e il Futurismo, ha letto la peste di Milano del 1628, dal Manzoni. Alla Scala, gremita. Illustrando l'opera, si è inserito fra le figure dell'immensa Predica di san Marco ad Alessandria d'Egitto dei Bellini, a Brera. Nella pittura, e nelle altre discipline, omologandole, ha posto se stesso al centro dell'opera, e l'opera è diventata parte dell'utente, non solo informazione o indicazione. Alcuni hanno ritenuto queste performances un eccesso di protagonismo. Sarà, ma a Milano la cultura non è mai stata protagonista come di questi tempi. E ieri, per la mostra di Goya, c'era una fila di trecento metri.

Amori
G uadagnino evoca gli autori milanesi, i suoi amori, Zurlini, Antonioni, soprattutto Visconti, la cui famiglia, per certi versi può ricordare i Recchi. Come ho detto nel sottotitolo la prima buona notizia è questa: Io sono l'amore non è un film italiano. E' un film nordico, più a nord di Milano, di Parigi, di Vienna.
E la prima sensazione non è di cinema, ma di letteratura, ed è un bel segnale: Thomas Mann, con le sue famiglie decadenti, progressivamente corrotte e cieche fino all'ultimo. E poi Virginia Woolf, per il dolore interno che si fa largo e non perdonerà, all'ultimo. Alla reminiscenza artistica si aggiunge quella del cinema. Va detto che Io sono l'amore non è un film perfetto, ma nessuno lo è.
Nelle scene di sesso si evoca il Giappone, con sequenze di nudo alternate a fiori, acqua, fronde al vento e insetti attivi su foglie umide. Sono immagini patinate, di suggestiva estetica, ma l'erotismo non è per Guadagnino. E poi il finale: è improprio, ed è un peccato, perché il regista fino a quel momento aveva tenuto a bada gli eccessi. Abbiamo già il linguaggio urlato, frenetico, sempre estremo per gesti e decibel dei Muccino, Ozpetek e Veronesi. Guadagnino aveva tenuto uno stile imploso, "nordico", fino alla soluzione, quando Emma prende la decisione definitiva e la sua angoscia corre veloce. Poi scorrono i titoli, ma l'ultima immagine è quella dei due amanti, sfuocati e abbracciati, in una grotta. Roba da cinema, come ho detto. La letteratura si è staccata. La metafora è, a sua volta, impropria, facile: un ritorno alla purezza? Ma trattasi di particolari che non compromettono un film di cultura europea. Speriamo sia l'auspicio di una tendenza. Un girar pagine che ci favorisca ai grandi festival, che da troppo tempo ci ignorano.

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