Il fascino della mente non muore mai.
di Mattia Nicoletti
Il dominio della ragione
Buongiorno sono Gregory House non credo che la patologia che manifesta mi possa interessare".
"Non sono venuto al Princeton Plainsboro perché sono malato, ma per incontrare lei".
"Allora è meglio se passa dall'accettazione, io sono impegnato e non posso lasciare da soli Cameron, Foreman e Chase. Mai abbandonare dei medici a loro stessi, potrebbero combinare dei disastri. Ma si è visto con quel cappello? Forse starebbe bene con il mio bastone".
"Deduco che lei ama l'ironia".
"E io deduco che forse è nel posto sbagliato e mi sta facendo perdere tempo. Guardi io ho le visite ambulatoriali dalle 10 alle 12. Se viene in quelle ore ci possiamo prendere un tè. Almeno non devo risolvere casi idioti".
Questo potrebbe essere un surreale dialogo fra House e Sherlock Holmes, due personaggi geniali che condividono l'arte della deduzione, un egocentrismo estremo, il vizio della dipendenza, e un fedele amico che in un caso si chiama Wilson e nell'altro Watson. Stiamo parlando di geni, stiamo parlando di ragione che mangia il sentimento, stiamo parlando di uomini che sono uno l'evoluzione dell'altro.
Confronti a distanza
È curioso che Sir Arthur Conan Doyle si sia ispirato per il metodo deduttivo a Joseph Bell, un medico per cui lo scrittore aveva una grande stima. Perché House è un medico e il suo creatore, David Shore, ha pensato a Doyle per descrivere il suo personaggio.
Sono due identità fortissime che oggi vivono un confronto a distanza, che è in parte sfida fra piccolo e grande schermo. Da una parte lo Sherlock Holmes di Robert Downey, un po' troppo guascone per la tradizione, dall'altra Hugh Laurie, inglese di Oxford, che invece tradisce le sue origini britanniche per interpretare un americano. Entrambi hanno fascino da vendere, ma se l'Holmes di Guy Ritchie è
certamente più fisico, House mostra i muscoli della mente. Non servono gesti, è questione di dettagli, di parole. Ogni sua frase è un gancio al mento.
Parole, parole, parole
È infatti la sceneggiatura il piano di confronto. In House si rasenta la perfezione, i dialoghi sono stilettate e hanno il pregio di dover essere riascoltati una seconda volta per comprenderne la vera forza. House per paradosso potrebbe essere un programma radiofonico per densità verbale.
In Sherlock Holmes invece si predilige l'aspetto visivo, la fisicità, e non per nulla sulla scena ci sono Downey Jr. e Jude Law.
Il cinema in questo caso fa la voce grossa, ma con Greg House non funziona. Lui procede, incede, sa di essere un debole per molti aspetti, ma è forte quando lo deve essere, e sa sempre cosa dire. È cinico, dice cose vere che nessuno oserebbe pronunciare e anche se è racchiuso in un televisore, sa che può sconfiggere la tradizione e offrire un tè a Sherlock senza il minimo complesso di inferiorità.