Anno | 2017 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Cina |
Durata | 71 minuti |
Regia di | Yue Chen |
Attori | Shidong Liu, Baonan Wang, Ye Yao . |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,78 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 2 dicembre 2017
Liu Shidong vive alla giornata. Non ha relazioni stabili, ma nonostante ciò, dovrà comunque sia affrontare una sorta di crescita. E, a quel punto, anche il cambiamento.
CONSIGLIATO SÌ
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Liu Shidong occupa le sue giornate ciondolando tra un bar e l’altro, fumando sigarette in serie. Il suo rapporto con Yuzi non va oltre un’amicizia senza impegni, ma l’incontro con Yao Ye e lo sviluppo della loro relazione sembrano intaccare il suo equilibrio da sfaccendato.
Chi è avvezzo alla frequentazione di festival cinematografici, o di opere che attraverso questi vengono veicolate, sa che spesso sono il disagio e la marginalità di esistenze difficili al centro dell’obiettivo del filmmaker.
Dove il cinema in costume guarda soprattutto a nobili e regnanti e quello hollywoodiano ha sovente dei protagonisti che provengono dalla borghesia, nei film indipendenti si è imposto uno standard quasi opposto. In particolare in Cina, dove la settima arte è solita concentrarsi sulle difficili condizioni di vita che accomunano moltitudini di abitanti, disseminate nel Paese più popoloso al mondo. Per il suo debutto alla regia, invece, Chen Yue sceglie un punto di vista radicalmente differente: il suo protagonista, Liu, è il giovane rampollo di un imprenditore, che vive a Taiyuan, popolosa città dello Shanxi, e non si preoccupa minimamente del proprio futuro, preferendo naufragare dolcemente tra alcol e sigarette. Nemmeno con il gentil sesso può né vuole assumersi impegni. Una condizione di cui Liu non va fiero – arriva a definire il suo uno stato “vegetativo” dell’esistenza – ma che non fa nulla per mutare.
La “storia di un fannullone”, ambientata nella Cina dei nuovi ricchi, presenta ragioni di fascino per le riflessioni storico-filosofiche che suscita, di fronte a un Paese comunista immerso nel paradosso di un turbocapitalismo di fatto, pieno di contraddizioni. The Scope of Separation è un’esplorazione della vacuità assoluta di una Cina che sembra aver rimosso ogni traccia della propria identità, totalmente asservita a usi e costumi globalizzati. Restano solo il mahjong o ridicoli cimeli turistici a ricordare da dove provengano Liu e i suoi amici.
Pur comprendendo il fine di Chen, tuttavia, il linguaggio adottato da quest’ultimo risulta impersonale, eccessivamente legato a modelli pregressi del cinema d’autore. Sigarette e luci al neon stile Wong Kar-wai, atmosfere nouvelle vague, dialoghi da mumblecore newyorchese. Anche il riferimento culturale della “diversità”, ossia la Francia verso cui fugge Yao Ye, tradisce la cinefilia del regista, che gira assecondando la levità del fumo di una sigaretta ma finisce per imitarne fino in fondo la natura effimera e inconsistente. Ma forse è il prezzo da pagare per il debutto.