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Rassegna stampa di Dziga Vertov

Dziga Vertov. Data di nascita 2 gennaio 1896 a Bialystok (Polonia) ed è morto il 12 febbraio 1954 all'età di 58 anni a Mosca (Russia).

A CURA DELLA REDAZIONE
MYmovies.it

Assertore del principio del "cine-occhio" (Kino Glaz) come fondamento del più autentico valore cinematografico, quello dell'intrinseca verità dell'immagine registrata dalla macchina da presa, fu uno dei più geniali anticipatori dell'originalità e specificità del cinema, dal cui aspetto meccanico e tecnico non si lasciò intimidire. D'altronde, la riconfermata attualità delle sue idee anche in anni recenti, a proposito del cinéma-verité dei francesi, non è da confondere con un'esaltazione indiscriminata delle possibilità della macchina da presa. Teoria e pratica di Vertov furono sempre improntate da una tensione razionalistica e conoscitiva, come attestano i suoi numerosi scritti, uno dei quali, nel 1940, parla del montaggio come di una serie di frammenti, per loro natura parziali, di verità, suscettibili di divenire un insieme organico e un'altra verità, questa volta tematica, proprio nella misura in cui il procedimento di montaggio assume carattere creativo. Vertov scrisse una famosa serie di manifesti sul cinema; il primo di essi, nel 1919, fu quello della "Rivoluzione dei Kinoki" (un gruppo che egli stesso aveva fondato). Fu autore della serie di cinegiornali d'attualità Kino-Pravda (da dove, appunto, in traduzione letterale, la locuzione "cinema-verità"): a lui si rifecero più o meno direttamente le avanguardie francesi e tedesche; la scuola documentaristica britannica; i già citati francesi del cinéma-verité e, non ultimo, l'italiano Cesare Zavattini, con la nota poetica tardoneorealistica del "pedinamento". Dopo venti numeri di Kino-Pravda, Vertov firmò nel 1922 un primo lungometraggio: Storia della guerra civile, film di montaggio, cui seguì Avanti, Soviet!, del 1926, e La sesta parte del mondo, nello stesso anno: un cine-poema lirico che, in un montaggio contrappuntistico, selezionava i momenti di vita nei Paesi capitalistici e in alcune regioni dell'URSS; nel 1929 girò L'uomo con la macchina da presa (operatore uno dei suoi fratelli, Mikhail Kaufman, che si occupò di fotografia, come l'altro il più celebre Boris K.); nel 1930 realizzò Entusiasmo; nel 1934, Tre canti su Lenin, forse il suo capolavoro, e uno dei più bei film sovietici, esemplare perfetto di film-saggio; del 1937 furono Berceuse e Serghiei Orgionikidze; del 1938, Tre eroine; del 1941, Altezza N. Sulla linea del fuoco; del 1942, Tu al fronte; del 1943, L'arte sovietica; del 1944, La montagna di Ala Tau; del 1947, Il giuramento dei giovani (i titoli italiani sono tradotti letteralmente).

ANTONIO VALENZI
L'Indipendente

La preziosa retrospettiva su Dziga Vertov proposta dalle Giornate del cinema muto 2004 ha riaperto il dibattito su come la storiografia possa o no attingere al cinema (e in particolare al docu-film) come fonte per la ricerca. Le immagini della Russia post rivoluzione del ’17 nella Kino-nedelia e nella kino pravda ha ripresentato il problema su quanto fossero valide come documento. Ad alimentare il dubbio ha contribuito il titolo della rassegna stessa che con una definizione dello stesso regista sovietico -ansioso di prendere le distanze dai film di finzione- è stata identificata con La fabbrica del reale, lasciando il sospetto che già la parola ‘fabbrica’ fosse sinonimo di artificiale e dunque inattendibile. Perché su una cosa non c’è dubbio: le riserve con cui gli storiografi hanno guardato al cinema non sono il frutto di una semplice ‘spocchia’ intellettuale nei confronti di un mezzo che generalmente serve all’intrattenimento. Semmai vanno ricercate nell’ambiguità –già rilevata da Pino Ortoleva- tra documento e rappresentazione che persiste nei film.

EDOARDO BRUNO

L'”occhio rivoluzionario" di Dziga Vertov (1896-1954) scopre, inventa, si appropria dell'incandescenza e dell'eccezionalità, dell"'intensità" che il reale assume in un periodo storico come quello della Rivoluzione sovietica, quando l'avanguardia artistica negli anni 20 in URSS si accordava, e lo potenziava, al rivolgimento storico. Il suo "cineocchio" non solo realizza film ad alto tasso innovativo e sperimentale, ricostruendo visivamente il paesaggio storico del reale, ma "scrive" oltre che con la macchina da presa (usata proprio come un'arma e una penna, inventando per primo ciò che i cineasti francesi degli anni 50/60 chiameranno "camerastylo') anche con la sua produzione teorica, con la redazione "militante"di "manifesti"sul cinema. Per Vertov il cinema è il modo rivoluzionario, il mezzo potente di cui le masse devono appropriarsi, per partecipare direttamente, alla metamorfosi sociale ed economica, ma anche di pensiero, che avveniva in URSS. Il cinema come arma di trasformazione dunque, sganciato da tutte le finzioni e le recitazioni, il cinema come "altro occhio" per guardare e operare sul reale. I "Cinoki" per Vertov dovranno decomporre, ricomporre e perciò trasformare la storia in discorso rivoluzionario, in nuovo statuto del pensiero e del reale. Questa idea del cinema incorpora il montaggio non tanto come una tecnica narrativa, quanto come uno strumento di conoscenza e di riorganizzazione del mondo visivo, dei dispositivi di senso e dei mezzi di produzione storici.

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