Katharine Hepburn. Data di nascita 12 maggio 1907 a Hartford, Connecticut (USA) ed è morto il 29 giugno 2003 all'età di 96 anni ad Old Saybrook, Connecticut (USA).
Katharine Houghton Hepburn era nata ad Hartford, nel Connecticut, il 12 maggio 1907, ma per molti anni aveva barato sulla sua età, levandosi un paio di stagioni, dichiarando di essere nata nel 1909.
La sua famiglia era molto ricca: il padre era uno dei più famosi urologi americani e la madre, cugina di un ambasciatore, era una suffragetta, un'antesignana del femminismo. Una drammatica catena di suicidi aveva però sconvolto la famiglia dell'attrice, da quello di uno zio paterno, che morì gettandosi da una finestra, al nonno materno, fino ad un prozio, che si uccise con un colpo di pistola. Ma il più traumatico per la psiche dell'allora giovane Katharine, fu il suicidio del fratello Tom, che si impiccò in casa, in una soffitta, a soli 15 anni. "Sapeva che sarebbe stata sua sorella a trovarne il cadavere", sostiene una biografa della Hepburn, convinta che l'episodio influenzò per sempre i rapporti di Katharine con gli uomini.
La Hepburn comincia comunque a recitare, in tenera età, negli spettacoli femministi organizzati dalla madre, e si distingue ben presto per il suo carattere deciso, volitivo e testardo. Nel 1928 sposa l'agente di cambio Ludlow Smith dal quale però divorzia nel 1933. Nel frattempo, dopo le prime delusioni arriva il successo: nel 1932 le affidano il ruolo di protagonista in Febbre di vivere, accanto a John Barrymore: proprio su questo set incontra George Cukor, il regista di quasi tutta la sua carriera.
Nel 1933 arriva Falena d'argento, un film della RKO, la casa di produzione a cui sarà professionalmente legata fino al 1940: la Hepburn non esalta di sicuro le rotondità femminili, ma con la sua irriverente androginia crea un nuovo modello di donna, indipendente, ribelle, così come Jo, la scrittrice di Piccole donne che interpreta nel film di Cukor. Nel 1933 arriva il primo riconoscimento alla carriera con l'assegnazione dell'Oscar per il film La gloria del mattino, mentre nel 1935, dopo l'insuccesso inatteso de Il Diavolo è femmina, accanto a Cary Grant , recita e ottiene consensi in Primo Amore, Palcoscenico, Susanna e Incantesimo, dedicandosi contemporaneamente anche al teatro.
Il successo le arride ancora con il ruolo dell'ereditiera capricciosa in Scandalo a Filadelfia, prodotto dalla MGM e diretto dall'amico e fidato regista Cukor, con un'interpretazione impeccabile, sofisticata, elegante e di grande stile.
Il 1942 è l'anno dell'incontro con Spencer Tracy, l'uomo che rappresenterà per venticinque anni il grande amore della sua vita.
Sulla scena i due sono una coppia perfetta ed equilibrata che, magistralmente, contribuisce al successo di La donna del giorno.
Nel 1947 interpreta Clara Schumann in Canto d'amore e del 1951 è La Regina d'Africa, girata affianco ad Humphrey Bogart. Ma quando Spencer Tracy si ammala, la Hepburn trascura il lavoro per stargli accanto: l'ultimo film che girano insieme è Indovina chi viene a cena che varrà alla Hepburn il secondo Oscar nel 1967. Poche settimane dopo questo grande successo Tracy muore, ma la Hepburn continuerà a recitare per quasi altri trenta anni vincendo altre due statuette, nel 1969 per Il Leone d'Inverno e nel 1981 per Sul lago dorato.
La carriera cinematografica della Hepburn ha abbracciato quindi un arco di oltre sei decenni, dagli anni '30 (in coppia con John Barrymore) fino al 1994, quando era stata convinta da Warren Beatty a tornare sugli schermi per una breve apparizione nel film Love Affair.
La Hepburn è morta nel 2003 nella sua abitazione nel Connecticut all'età di 96 anni. Da tempo era in cattive condizioni di salute e proprio per questo l'attrice aveva dovuto lasciare nel 1996 la sua abitazione a New York, sulla 49/a strada, per trasferirsi nella villa di famiglia a Fenwick, nella ricca cittadina di Old Saybrook, Connecticut. Qui conduceva una vita isolata, circondata dai familiari e allietata dalle visite di qualche amico, anche se negli ultimi anni aveva cominciato a soffrire perdite di memoria.
HANNO DETTO DI LEI
"Ci sono donne e donne: e poi c'è Kate. Ci sono attrici e attrici: e poi c'è la Hepburn."
Frank Capra (regista)
"Il viso tormentato, quasi una maschera; la voce alta, stridente, rauca, sgranata; la figura da ragazzo, diritta e con le spalle larghe: forse tutte queste cose possono essere irritanti, ma attraggono l'attenzione e affascinano il pubblico. E' una personalità distinta, definita, sicura: la prima dopo la Garbo."
Regina Crew (critica dell'American)
"La prima sera che trascorsi con Katharine e Spencer fui colpito dal modo in cui lei lo guardava: dal basso verso l'alto, in adorazione. Ogni volta che era vicina a lui diventava come una bimbetta."
Sidney Poitier (attore)
"Come faccio a recitare con una donna che ha le unghie sporche, si veste da uomo e che probabilmente è lesbica?"
(Spencer Tracy)
"Non ce lo vedo Clark Gable correre dietro a una ragazza così per tutta la vita."
Charles Selznick (produttore, che per il ruolo di Scarlett-Rossella in Via col vento le preferì Vivien Leigh)
"Kate è l'attrice sognata da ogni drammaturgo. Fa risultare migliori i dialoghi grazie ad una dizione impagabile per chiarezza e bellezza, e grazie ad un'intelligenza così sensibile da illuminare ogni sfumatura nelle battute. Riempie ogni azione, ogni frammento del testo con l'intuito di un artista che sia nata soltanto per quello scopo."
Tennesse Williams (drammaturgo)
"Lavorare con lei e con mio padre mi sembrò un'esperienza terrorizzante, di quelle che ti fanno svegliare la mattina con la nausea. Ma sapete che cosa è successo? Quando sono andata alle prove mi sono resa conto che era nervosa quanto me."
Jane Fonda (attrice)
"I suoi zigomi erano il più bel deposito calcareo dopo le scogliere di Dover."
(un ammiratore)
"Ogni attrice del mondo avrebbe desiderato essere come Katharine Hepburn."
Elizabeth Taylor (attrice)
CURIOSITA'
- All'inizio della sua carriera si faceva vedere sempre con l'amica del cuore e si faceva chiamare Jimmy.
- Amava portare i rossi capelli molto corti.
- Faceva ogni giorno venti vasche in una piscina di acqua non riscaldata, e la cosa le venne utile a 74 anni quando girò senza controfigura la scena del salvataggio di Henry Fonda nelle acque gelate di Sul lago dorato.
- L'attrice era ossessionata dal suicidio, dopo aver avuto ben cinque suicidi nella propria famiglia. Questo non le impedì di tentare a sua volta di togliersi la vita, in almeno un paio di occasioni.
- L'attrice non vide mai Indovina chi viene a cena, perché - diceva - non desiderava vedere Spencer Tracy vecchio e malato.
- Si rifiutò sempre di ritirare i 4 Oscar vinti.
- Fu nominata dall'American Film Institute Leggenda femminile del cinema americano di tutti i tempi.
-L'ultima pellicola girata da Katharine Hepburn, fu Love Affair - Un grande amore (1994), in cui l'attrice si ritagliò un cameo come zia del protagonista Warren Beatty.
"Volevamo tutte essere come lei": diceva Elizabeth Taylor, che della Hepburn era solita ricordare "il fascino e la prontezza di spirito". Un quarto di secolo sullo schermo, nei ruoli più congeniali al suo carattere: quelli di donna forte, indipendente, ribelle. Bravura, sensibilità e una bellezza atipica, che le avevano fatto guadagnare per dodici volte la nomination all'Oscar, un record che la Hepburn ha mantenuto fino a quest'anno, quando è stata eguagliata da Meryl Streep. Ma a lei resta un altro primato, quello di aver conquistato per quattro volte la statuetta, unica attrice nella storia del cinema: nel 1933, per La gloria del mattino, nel 1967 per Indovina chi viene a cena, nel 1968 per Il leone d'inverno e nel 1981 per Sul lago dorato. Se il cinema era stata la sua grande passione, Spencer Tracy era stato il suo grande amore. Nove film girati insieme e, nella vita privata, un rapporto lungo e consolidato ma difficile: la Hepburn aveva dovuto infatti rassegnarsi ad essere solamente "l'altra", perché l'attore non aveva mai voluto divorziare dalla moglie, che Katherine Hepburn aveva, poi, incontrato solo in occasione della morte di Tracy. Nonostante tutto, fu una storia d'amore lunga vent'anni, raccontata anche in un libro uscito negli Stati Uniti nel 1997, in occasione del novantesimo compleanno dell'attrice: An affair to remember, the remarkable love story of Katharine Hepburn and Spencer Tracy, scritto da Christopher Andersen dopo centinaia di interviste agli amici della coppia e quasi 20 anni di conversazioni con l'attrice. Ma prima della love sory con Spencer Tracy, Katharine Hepburn era stata protagonista di un'altra relazione, simile, con il regista John Ford. Che cercò di sposare in tutti i modi ma, anche in questo caso, con esito negativo: anche Ford, già sposato, non aveva alcuna intenzione di separarsi dalla moglie. La storia era apparsa per la prima volta nella biografia dedicata all'attrice, intitolata Katharine Hepburn, e scritta da Barbara Leaming, che il mensile Vanity Fair aveva publicato nella primavera del 1995. L'autrice racconta anche della drammatica catena di suicidi che aveva sconvolto la famiglia dell'attrice, da quello di uno zio paterno, che morì gettandosi da una finestra, al nonno materno, fino ad un prozio, che si uccise con un colpo di pistola. Ma il più traumatico per la psiche dell'allora giovane Katharine, fu il suicidio del fratello Tom, che si impiccò in casa, in una soffitta, a soli 15 anni. "Sapeva che sarebbe stata sua sorella a trovarne il cadavere", sostiene la biografa, convinta che l'episodio influenzò per sempre i rapporti di Katharine con gli uomini. Rapporti sempre difficili e sfortunati: da quello con l'agente cinematografico Leyland Hayward, a quello con il miliardario Howard Hughes, al matrimonio infelice con Ludlow Odgen Smith. Rapporti sfortunati nella vita privata, ma partner straordinari sullo schermo, con i quali la Hepburn diede vita ad alcune delle sue più memorabili interpretazioni: da James Stewart a Humphrey Bogart, da John Wayne a Henry Fonda. E grandi registi, che la diressero nella sua lunga carriera: da George Cukor a Howard Hawks, da Vincente Minnelli a Elia Kazan, da John Huston a Sidney Lumet, da Joseph L. Mankiewicz a Stanley Kramer. "Ogni attrice del mondo avrebbe desiderato essere come Katharine Hepburn". Elizabeth Taylor è stata tra le prime stelle di Hollywood a rendere omaggio all'attrice scomparsa. "Tutte hanno sempre guardato a lei con ammirazione e rispetto - ha detto - eravamo tutte invidiose della sua prontezza di spirito e del suo fascino". "E' morta come è vissuta: con grazia e dignità": così Cynthia McFadden, amica della Hepburn, accanto a lei al momento della scomparsa. Ed è stata la stessa McFadden ad annunciare che i funerali dell'attrice si svolgeranno in forma privata, e che non sono previste cerimonie pubbliche.
Da La Repubblica, 30 giugno 2003
Appena poteva, la giovane Katharine Hepburn tornava ad Hartford in Connecticut, dove era nata il 12 maggio 1907. Là, con una felpa e un paio di pantaloncini sgualciti, pedalava sulla sua bicicletta da corsa. “La gente vedeva il mio sedere con i pantaloncini bianchi e le mie gambe lunghe... da dietro sembrava che non avessi addosso niente. Era abbastanza perché esclamassero: “Che cos’è quella roba?. Poi vedevano che ero io e cercavano di essere carini”. C’è, in questa immagine della memoria, qualcosa che ne illumina la grandezza. C’è in primo luogo il suo gusto per la libertà, un gusto appreso dalla madre, una“suffragetta’ convinta e attiva. E c’è anche la sua vitalità, il suo amore per lo sport, cui il padre l’avviò fin da bambina. E c’è poi una civetteria appena suggerita, insieme con una sapiente commistione di eleganza del corpo e “trasandatezza” degli abiti (alla gonna diceva di preferire i pantaloni, ma solo per comodità). Non era né fatale né prorompente. la splendida Katharine. La sua bellezza era trasparente e luminosa, come il suo sorriso. Rivedendola in Scandalo a Filadelfia (George Cukor, 1940), ci si sorprende della sua modernità, del suo fascino anche erotico. Un fascino, ancora, che seppe “accostare” a molti dei divi più grandi a partire dagli anni 30: a James Stewart in Scandalo a Filadelfia, appunto, a Cary Grant in Il diavolo è femmina (Cukor, 1935) a Hurnphrey Bogart in La regina d’Africa (John Huston, 1951), a Spencer Tracy, compagno della sua vita, da La donna del giorno (George Stevens, 1942) a Indovina chi viene a cena (Stanley Kramer, 1967) e persino a John Wayne, così lontano da lei per sensibilità, in Torna “EI Grinta” (Stuart Millar, 1975). E come non ricordarla al fianco di Henry Fonda in Sul lago dorato (Mark Rydell, 1981), ormai tremante per una malattia, certo lontana dalla antica Katharine che pedalava in calzoncini, tuttavia ne conservava intatta l’eleganza, il fascino, la civetteria accennata e quel suo sorriso, luminoso e trasparente.
DaIl Sole-24 Ore, Domenica 6 luglio 2003
– Sì, Mister Easton, io adoro New York. E una città meravigliosa, e mi piace di passeggiare e passeggiare, e guardare e guardare. Invece, vedete, a Franklin, se uscite a passeggio, vi infilate per uno stradone dove non c’è altro che grandi alberi e campi di qua e di là.
E tuttavia, io non so dire, qualcosa c’è anche lì, in quei campi, che vi dà un senso di esser grande e sola –. Se alla supposta Franklin si sostituisca la vera Hartford, piccola città del Connecticut, si ritroverà concentrata in una battuta di film, tutta l’adolescenza di Katharine Hepburn, piccola borghese, figlia di un medico di provincia, torturata dal “portentoso male” di darsi alle scene. Una ragazza che, ad incontrarla nella vita, avrebbe prodotto quel disagio, quell’imprecisabile repulsione che si diffonde intorno a certe signorine isteriche. Frigidità e nel contempo eccesso: prendere tutte le cose con esasperazione, eccetto quelle che sono comunemente le cose della vita. Un miraggio, uno scopo in lei c’era; ma nessuno poteva capirlo, perché non era certamente quello connaturale alla donna. Una ragazza americana senza Flirt e senza avventure. Creatura scomoda e, a quei tempi, nemmeno bella.
Immaginiamo il solito cataclisma ipotetico in cui vadano perduti tutti i documenti di un’arte o di una civiltà: le biblioteche e magari, nel caso nostro, le filmoteche. Che cosa vorremmo che sopravvivesse, per ricordare ai posteri la più vera Hepburn? Quel passaggio di Gloria del mattino, dove, naufragati tutti i tentativi di diventare una grande attrice, poi anche quelli di diventare una piccola attrice, la povera Miss Eva (al secolo Katharine Hepburn), balla in un caffè notturno, quasi nuda, sotto uno spropositato sombrero messicano. Donna certamente, anche troppo, ma con l’aspetto miserabile e pietoso di una bimba malcresciuta: quel visetto triangolare che dovrebbe sorridere per necessità di mestiere e non riesce ad esprimere che lo spaesamento o, peggio, lo sgomento di una catastrofe; quel corpicino ossuto che s’incava tra le spalle e lo sterno; quelle gambe, che la magrezza fa parere distorte, agitantisi in un trepestio inutile, senza trovare mai la disinvoltura e la grazia della danza. Rielaborato e realizzato in termini di spettacolo cinematografico, quest’episodio simboleggia il momento critico del destino della Hepburn: quello in cui la sua passione, e il coraggio stesso che ella mette nell’affrontare le conseguenze, possono d’improvviso precipitarla nel nulla od elevarla ai fastigi.
Arriva a New York dalla provincia, ella comincia a far la via crucis delle agenzie teatrali. Ironia di impresari di fronte al suo entusiasmo loquace e inesperto. Promesse per l’indomani alle quali si crede la prima volta, magari la seconda; ma la terza non vi si crede già più; e tuttavia ci si ostina, come per un ingrato dovere verso se stessi, a picchiare ancora a quelle porte. Qualcuno ha voluto aver fede in lei, e le ha fatto dare una piccola parte in una commedia. Poteva essere la «occasione» agognata. Ma la smania della grande occasione, il mito della «sconosciuta», che si afferma grande attrice con una sola battuta, la spingono a strafare. Ed è «protestata» alle prime prove. Scompare, allora: per orgoglio si dà alla latitanza. E ogni giorno è una rinuncia nuova, una nuova decadenza. ‘Purché gli amici non sappiano nulla, e la credano occupatissima, carica di scritture e d’impegni, intenta a studiare, a perfezionarsi. E se per caso ne incontra uno per via, e non riesce a sfuggirlo, gli getta in faccia che a primavera deve iniziare una grande tournée shakesperiana. Quell’amico è un attore, un maestro di recitazione: lei, pronta, gli offre perfino un posto in compagnia.
L’occasione è sempre un caso, mai un appuntamento. Quella sera Eva-Katharine non aveva mangiato: la tazza di caffè, che aveva fatto il gesto di pagarsi e che l’amico aveva voluto offrirle, non è certo bastata a lenire una fame diuturna. C’è una festa, un ricevimento in casa dell’impresario col quale ella aveva tentato la prima prova al suo giungere a New York. L’amico ve la conduce quasi a violenza. Inutile ch’ella protesti pel povero tailleur consumato e liso, che disegna compassionevolmente la sua magrezza. Quell’aria di gioia, quel contorno di gente a successo, una coppa, una sola, di champagne, vincono in un attimo tutti i passati mesi di decadenza e di umiliazione: – Oh! Tutto m’interessa! È per questo che un giorno io sarò una grande attrice. E perché mi guardo intorno e assimilo e capisco. Di tutto bisogna saper fare tesoro, di tutto non credete? – Le serpeggi pure d’intorno ancora un poco d’ironia, o di pietà: ella non sente più nulla. Sente solo di credere in se stessa. Si butta addosso uno scialle, sale ad una immaginaria ribalta, e recita una scena di Romeo e Giulietta:
Romeo, Romeo, chiunque sia tu, Romeo
Rinnega tuo padre, ricusane il nome,
Il tuo nome, solo il tuo nome m’è nemico
E che cosa è un nome?
Quella che chiamiamo rosa,
Anche sotto altro nome olezzerebbe.
Molti sorridono ancora, altri rimangono perplessi, solo qualcuno capisce d’essere di fronte ad una rivelazione: ma tra questi non è l’impresario. Gli ospiti vanno via ed Eva-Katharine rimane in quella casa, sicura di addormentarsi nell’amore e sulla via della gloria. Ancora un inganno. La parte ‘secondaria che l’impresario le fa dare all’indomani, è solo l’indennizzo di un uomo a cui rimorde di avere abusato della debolezza di una fallita.
Ma qualche volta la vita finisce proprio col dar ragione al romanzo che si era cercato in lei: la puerile speranza di poter surrogare la prima attrice, prima ancora di aver dato convincente prova di sé, diventa d’un tratto realtà. Il sogno di tutti i principianti, modellato sulla classica leggenda di un Arturo Toscanini che una sera, d’improvviso, dalle file dei violoncelli sale al podio del direttore d’orchestra, si avvera anche questa volta. Ed è il successo: anche troppo clamoroso, anche troppo repentino. Il successo che fatalmente costa la rinuncia all’amore. Sarà il trionfo d’un’ora, la fuggevole «gloria del mattino»?
Così Katharine Hepburn ha raccontato, in Gloria del mattino, la propria vita, lasciandola sospesa nel punto in cui lo sforzo tenace di volontà che l’aveva portata a vincere, inaugura il nuovo sforzo di volontà che dovrà conservarle la vittoria.
Al secolo Katharine è una donna sulla trentina, moglie di un avvocato, alta cinque piedi e tre pollici, di occhi grigi e capelli bruni, brava nuotatrice, esperta giocatrice di tennis e di golf. Le sue esperienze di palcoscenico hanno culminato in commedie come La morte in vacanza, Art and Mrs. Bottle, Warriors Husband. Il suo primo film, Febbre di vivere (Bill of Divorcement), è del 1933, anno in cui ella vinse anche il premio della Accademia. Seguirono, nella breve serie che tutti conoscono, Falena d’argento (Cristopher Strong), Gloria del mattino (Morning Giory), Piccole donne (Littie Women); nel 1934 Spitfire, the little minister; nel 1935 Quando si ama (Break of Hearts) e Primo amore (Alice Adams); nel 1936 Sylvia Scarlet, Maria di Scozia (Mary of Scotland) e il recentissimo Portrait of a Rebel.
Se non fosse una frase da ufficio pubblicitario, bisognerebbe ripetere e convenire che la Hepburn è veramente la grande ribelle dello schermo. In un certo senso, c’è del virtuosismo anche in lei; ma un virtuosismo superiore: quello di spezzare i moduli della tradizionale interpretazione cinematografica, allo stesso modo come il virtuosismo di un Franz Listz si manifestava fra l’altro con lo spaccare i pianoforti. Il suo primo coraggio è quello di non temere la bruttezza. Quando in Piccole donne scopre che la sorella Amy sta a colloquio tenero col precettore di Laurie, si butta al suolo come un sacco, sbarrando il volto più decisamente «antiestetico» che una prima attrice abbia mai osato di esibire. Quel famoso «brutto» che ha formato lo scandalo dei visitatori delle mostre di pittura dell’ultimo mezzo secolo, non era ancora giunto con tanta decisione nelle arti spettacolari: è stata la Hepburn a introdurvelo.
Anche nelle arti riservate a pubblici più ristretti, c’è stato un momento di crisi nel quale si è infranto lo schema di una bellezza formale ormai immobile e del tutto esteriore, per riconquistare l’immediata espressione dell’anima. È la grande ora romantica di tutte le arti. Con pochissimi e dissimili precedenti, che possono toccare il punto Garbo e il punto Crawford, la Hepburn è la romantica dello schermo: una romantica ventesimo secolo che prende di petto anche i propri sentimentalismi. La sua apparente bruttezza è anima.
Il suo ultimo film, Ritratto di una ribelle, rappresenta una fanciulla in rivolta contro la soggezione, in cui viene tenuta la donna nel tradizionale ambiente di famiglia. E una tale polemica, che sarebbe apparsa così plausibile nel femminismo di qualche anno fa, è fatta risalire nientemeno che all’epoca vittoriana. In questo sottile accavallamento tra femminilità e femminismo, donde scatta la ribelle, è tutta l’essenza, ed anche il fascino, della Hepburn. In Febbre di vivere la vediamo rinunciare al proprio destino d’amore, cedere la via alla seconda giovinezza di sua madre, per rimanere ad assistere, – compagna, sorella, infermiera, – il padre pazzo. In Piccole donne la vediamo respingere le offerte d’amore di Laurie per un sacrificio di cui ella stessa non sa discernere i termini, per una specie di confuso miraggio di indipendenza.
Con prepotenza, appunto, femministica la Hepburn è a prima attrice che sia riuscita ad infondere negli stessi soggetti, oltreché nella linea della interpretazione, l’esperienza profonda, autobiografica della propria vita. Chi volesse analizzare suoi film non troverebbe che degli episodi di quell’avventura sentimentale che, col gusto tipicamente romantico della confessione, ella ha narrato per intero in Gloria del mattino. Era ovvio, quasi inevitabile, che una simile attrice dovesse finir con l’interpretare ‘anche la vita ambiziosa e perduta di Maria di Scozia.
Sotto il segno dello spirito e della poesia, si compie appunto la trasfigurazione in superiore bellezza di tutte quelle deformazioni che la Hepburn imprime al proprio volto. È il medesimo miracolo, patetico e lirico, per cui si può parlare di un potere affascinante dell’antipatico, odioso Stroheim.
Da Cinema, 25 Dicembre 1936