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La visione del Festival a Busan

Intervista a Mr. Kim Ji-seok, selezionatore dei film asiatici al Busan Film Festival.
di Emanuele Sacchi

In foto Mr. Kim Ji-seok, selezionatore dei film asiatici al Busan Film Festival.
Kim Ji-seok .

mercoledì 9 ottobre 2013 - Incontri

Dal Busan International Film Festival il selezionatore dei film asiatici Kim Ji-seok racconta la programmazione del festival, la sua evoluzione negli anni e il ruolo di cinematografie in espansione e molto rappresentate al festival come India e Kazakistan.

Qual è il ruolo del Busan Film Festival e come si è evoluto dalla sua nascita a oggi?
"Il festival è nato nel 1996 come una sorta di rassegna di cinema asiatico per il pubblico coreano, ma ogni anno, un passo alla volta, il ruolo del festival si è sviluppato assumendo nuove connotazioni. Nel 1998 abbiamo lanciato Asian Project Market, il primo in Asia, sull'esempio di altri nel mondo, come il Marché di Cannes. Nel 1999 è nata la Busan Film Commission, un altro tipo di ruolo nell'industria del cinema, ma altrettanto importante, anche perché non esistevano altre Film Commission asiatiche prima di allora (esisteva la Hong Kong Film Commission, ma il suo era fondamentalmente un nome, non era una vera e propria Film Commission). Negli anni succesivi altre città hanno seguito il nostro esempio, con le quali abbiamo formato una rete che è divenuta Asian Film Commission. Il passo successivo è stato dedicato all'istruzione, con i workshop della Asian Film Academy, rivolta a studenti di cinema asiatici e non solo. Infine abbiamo concentrato i nostri sforzi sul supporto concreto per la raccolta di fondi con l'Asian Cinema Fund, per aiutare la realizzazione di film e la post-produzione".

Quanto conta il mercato nell'essenza e nell'immagine del Busan Film Festival?
"Molto. Nel 1996 l'industria del cinema in Corea del Sud non aveva idea di come si potesse vendere sui mercati stranieri il cinema nazionale sudcoreano; non era mai esistito neanche un festival internazionale, quello di Busan è stato il primo. È grazie al nostro festival che l'industria ha cominciato a rapportarsi con i mercati internazionali. E per la città di Busan è stato altrettanto importante, tanto che l'industria cinematografica a Busan è uno dei settori più importanti. Può sembrare incredibile, ma il pubblico coreano prima del Busan Film Festival vedeva solo cinema sudcoreano della hallyu (si definisce così la cosiddetta Korean Wave, il fenomeno di incremento di popolarità e di esportazione della cultura sudcoreana esploso negli ultimi anni, nda), cinema hongkonghese e americano. Conosceva poco o niente degli altri territori, persino del cinema giapponese (anche a causa di rapporti storicamente difficili tra i due Paesi) oltre che di quello europeo".

Come e più che negli anni scorsi, India e Kazakistan giocano un ruolo preponderante nella programmazione del festival, Corea del Sud a parte si può dire che siano le nazioni più rappresentate. Si può dire che negli anni il BIFF abbia colto da un lato la svolta del cinema indiano, che si sta allontanando dagli stereotipi bollywoodiani, e la peculiarità del cinema kazako, che si sta diffondendo sempre più nei vari festival internazionali. A cosa è dovuta questa attenzione costante verso queste due cinematografie?
"Il cinema indiano negli anni '60 e '70 ha vissuto un'età dell'oro del cinema d'autore, che è poi scemata nei decenni successivi. Solo recentemente questo tipo di cinema ha preso piede in aree dell'India in cui prima non esisteva, in particolare grazie a registi giovani. Il pubblico dell'Estremo Oriente non ha molta familiarità con questo cinema, se non nel Sud-Est Asiatico, e quindi abbiamo pensato di aiutare a conoscerlo sempre di più, insistendo. L'industria cinematografica indiana, dal canto suo, ha fatto del suo meglio per promuovere i film passati qui a Busan, assumendo pubblicitari coreani a tal fine. Quello del Kazakistan è un discorso diverso; ha una forte tradizione di cinema d'autore, anche se ha dovuto fronteggiare una situazione economica molto difficile in tempi recenti. Ultimamente sono emersi molti talenti, come Emir Baigazin, il regista di Harmony Lessons, che con il suo film di debutto partecipa alla competizione "New Currents"; sono particolarmente orgoglioso di questa inclusione perché Emir era con noi nella Asian Film Academy nel 1997. Oppure Zhanna Issabayeva, un'autrice totalmente ignota che quest'anno ha girato uno dei migliori film asiatici dell'intera annata (Nagima, in "Gala Presentation", nda), o Alexsey Gorlov che dopo un debutto con un film commerciale nell'ultimo The Story of an Old Woman ha realizzato un'opera audace. Anche per questo ho pensato a una retrospettiva speciale sul cinema ignoto dell'Asia Centrale, sono felice di scoprire talenti emergenti e riscoprire film ignoti ai più. Purtroppo là in Kazakistan non danno alcuna importanza al loro materiale d'archivio ed è stato difficile assemblare i film per questa rassegna e trovare delle copie decenti, oltre che sottotitolate. Nessuno sa chi detenga i diritti di questi film, oltretutto. Una faticaccia, non penso che mi cimenterò di nuovo con questo tipo di rassegna speciale (risate, nda)".

I film cinesi sono evidentemente meno degli anni scorsi, questo nonostante l'ascesa inarrestabile della loro industria. Come mai?
"Sono perfettamente consapevole che il mercato cinese sia divenuto il secondo più importante del mondo e che nel giro di qualche anno potrebbe diventare il primo. L'altro giorno parlavo con Jia Zhang-ke delle nuove generazioni di registi cinesi ed era d'accordo con me sulla ragione per cui è diventato così difficile trovare titoli della Cina continentale selezionabili per il festival. Ci sono molti motivi per spiegare ciò, ma i tempi della sesta generazione sono molto lontani, prevale l'attenzione all'incasso facile, al lato strettamente economico della cosa. Sono luci e ombre dell'industria cinese, le ombre riguardano l'abbassamento di livello nelle nuove generazioni".

Come riuscite a equilibrare il cinema sudcoreano, che vive un momento magico, con quelli degli altri Paesi e quindi in che direzione si sta muovendo il BIFF?
"Le nazioni asiatiche si stanno evolvendo rapidamente in tutte le zone dell'Asia e quindi l'equilibrio viene da sé, aiutando quello che credo sia uno degli elementi fondamentali del festival. Il nostro prossimo scopo è quello di connettere i registi indipendenti di queste differenti aree dell'Asia; è ancora molto difficile per i registi indipendenti asiatici realizzare le loro opere, forse anche più che in Europa. In questo senso stiamo cercando di creare una piattaforma digitale che sfrutti anche il VOD, sul tipo del Sundance Channel, per aiutare la diffusione e quindi agevolare la raccolta di fondi in quest'ambito. Abbiamo parlato con un canale di Tv via cavo chiedendo se volevano cambiare il loro nome in BIFF Tv Channel e la trattativa è ancora in corso; se ne dovesse nascere un accordo sarebbe di grande aiuto".

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