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La politica degli autori: Zack Snyder

Un regista a proprio agio con l'intricata materia dei cinecomix.
di Mauro Gervasini

In foto Zack Snyder, al festival di Taormina per presentare L'uomo d'acciaio.
Zack Snyder (58 anni) 1 marzo 1966, Green Bay (Wisconsin - USA) - Pesci. Regista del film L'uomo d'acciaio.

mercoledì 19 giugno 2013 - Approfondimenti

Che la Warner Bros. abbia infine scelto tra tanti candidati Zack Snyder, classe 1966, per dirigere L'uomo d'acciaio in fondo non sorprende. Sin dai tempi di 300 (2007) il regista ha dimostrato di sapere maneggiare una materia intricata come quella dei cinecomix, i film tratti da fumetti o romanzi grafici. In quel caso un'opera di Frank Miller sulla battaglia delle Termopili, poi, nel 2009, Watchmen di Alan Moore, annoverato dalla rivista "Time" tra i cento migliori romanzi in lingua inglese del XX secolo. Ora la saga dedicata a Superman, l'eroe alieno già portato sullo schermo da Richard Donner con Christopher Reeve e da Bryan Singer con il dimenticabile Brandon Routh. Snyder ha avuto in questo caso un compagno di viaggio ingombrante come Christopher Nolan, produttore esecutivo e cosceneggiatore, il quale ha inciso avvicinando il quasi ingenuo Nembo Kid al Cavaliere oscuro della modernità contorta. La storia resta però identica e immutabile. Sorprende che l'origine di Superman, la distruzione di Krypton, Jor-El e Smallville siano sempre il punto di partenza di ogni versione cinematografica, di ogni reboot. Un po' sfiancante, ma va beh...

Zack Snyder quindi. Perfetto per tenere il polso della situazione lisciando il pelo alle mode visive contingenti. Quando nel 2004 uscì il suo primo lungometraggio L'alba dei morti viventi, remake (soprattutto nominale) di Zombi di George A. Romero, la sensazione fu di brivido, terrore e raccapriccio per un film che dell'originale non aveva capito nulla. Snyder aveva raccolto una mitologia, ne aveva creato una versione aggiornata all'estetica dei videogiochi e l'aveva semplicemente "accelerata", facendo passare l'idea che la differenza tra un racconto horror del 1978 e uno degli anni Zero fosse appunto solo questione di velocità. Il vero colpo basso subito dopo, con una operazione identica e contraria. Con 300 Snyder si affida ancora ai principi videoludici dell'immersione fisica interpellando la partecipazione viscerale dello spettatore. All'epica del racconto milleriano sostituisce l'enfasi, alla catarsi la sete di sangue in una compiaciuta rappresentazione della violenza. Solo grafica, botte e fendenti: un digrignare di denti che diventa estetica nel cupo trionfo del «me ne frego di morire». Per fare questo "decelera". La cifra stilistica di 300 è infatti il ralenti, che proprio con Snyder torna centrale nell'action movie americano.

Due anni dopo, ancora nauseati dal testosterone delle Termopili, vediamo Watchmen con un pregiudizio gigantesco, certi che Zack Snyder stia contrassegnando le tendenze cinematografiche dalla parte peggiore. E il regista invece ci sorprende. Si getta anima e cuore nel romanzo di Alan Moore (che ovviamente disconosce l'operazione) e Dave Gibbons, ne coglie il senso pur tagliando con l'accetta parti consistenti (le digressioni dei Racconti del vascello nero) modifica il finale ma riesce a trasmettere con una certa asciuttezza la disperazione post umana degli "eroi" in disuso prossimi alla decadenza terminale. In particolare azzecca il personaggio di Rorschach (interpretato da Jackie Earle Haley), giustiziere violentissimo e disturbato che avverte prima degli altri la verità della situazione. Il film, data la sua complessità, non è un successo commerciale, ma resta il migliore del regista.

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